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Bastano due parole di D’Alema e la Sinistra Pd scatena l’inferno: sono senza Speranza

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Roberto Speranza Rosy Bindidi Il Capo

 

 

 

 

 

 

Abbiamo visto in questi giorni chi è che ha una “concezione padronale” del Partito Democratico: è bastata una esternazione di Massimo D’Alema e i fedeli sudditi, da Bersani (con una caduta di stile impensabile in un politico della sua caratura) al nuovo che avanza Roberto Speranza, le truppe della minoranza di destra che si definisce Sinistra Pd hanno scatenato tutta la loro potenza di fuoco contro il loro stesso partito, contro il loro stesso governo, contro i loro stessi interessi politici.

 

Non sono personalmente interessato alle vicende dei partiti in termini elettorali avendo da tempo optato per l’astensione non essendoci nell’agone politico italiano un partito che riassuma i valori che vorrei ritrovare in una forza politica, ma sono interessato per professione e per indole a ciò che succede nel paese dove vivo. In più preferisco vivere in un paese con governi stabili. Questo detto un breve riassunto aiuterà. D’Alema ha lanciato la bomba e ritirato la mano, è nel suo stile. Questo maestro di intrighi politici e lavorìo poco chiaro dietro le quinte agita le acque turbolente di quello che è diventato il Partito Democratico da almeno due decenni e mai, se la memoria non mi è fallace, ha agito in prima persona. Dichiarazione roboante e quindi attacco del suo esercito di ex comunisti convertiti ad una sinistra [sic] che è presente soltanto nelle liste elettorali, negli equilibri di partito, ma che non è una sinistra nei programmi, né tantomeno nelle azioni, con l’unico intento di governare il Partito e gli equilibri interni ad esso. Questa è la strategia dalemiana. E’ successo nel PCI, è successo nel Pds, successe nei DS, stessa cosa all’interno del Pd. La politica del fumo negli occhi non serve a nessuno, né tantomento a loro: Roberto Speranza nel suo confuso proporsi come erede di Matteo Renzi (verrà asfaltato nelle elezioni interne) ha dimenticato, o ha fatto finta, che l’attuale segretario-premier ha vinto le primarie del partito (quasi 2 milioni di partecipanti o qualcuno in più) con oltre il 70% dei voti. E’ quindi democraticamente che Matteo Renzi è diventato il segretario del Pd e sempre democraticamente, alle ultime europee, ha portato il partito ad oltre il 40% dei voti. Ed è sempre democraticamente che il Pd di Renzi continua a veleggiare attorno al 35% nei sondaggi.

 

Chi scrive era presente ai gazebo delle primarie Pd, inviato di questo quotidiano, in occasione delle primarie, proprio nella sezione dove i big romani del partito sono iscritti. Ebbene in quella sezione Cuperlo prese il 12%, rimanendo dietro anche a Civati, che abbiamo visto dove sta ora.

 

Il tentativo di riesumare l’Ulivo è la drammatica cifra dell’inconcludenza politica, della mancanza di idee, del vivere nel passato di D’Alema, Bersani, Speranza e soci. L’Ulivo è stato massacrato proprio da questi signori con manovre poco chiare, e forse chiarissime, e dai loro giochi di potere. Il governo Prodi è stato fatto cadere per un voto quando era nel pieno della corsa e godeva di un consenso popolare altissimo, fermando le riforme che all’Italia servivano. Ma loro dell’Italia se ne futtirono. Succedette a Prodi – guarda caso – Massimo D’Alema che pur di governare non esitò a sposare il partitino di Cossiga, Buttiglione e Mastella (si chiamava UDR, tutti eletti nel Popolo delle Libertà di Berlusconi e Casini) che gli garantivano una risicatissima maggioranza che durò relativamente poco. Dei risultati di quel governo rimane nulla, a parte alcune propagandistiche scelte come quello di abolire il servizio militare obbligatorio. Che ora D’Alema e soci contestino Renzi per avere approvato una legge nel passaggio al Senato (quella sulle Unioni Civili) appoggiandosi ai voti di Verdini e soci è politicamente ridicolo: ai tempi del governo D’Alema, Cossiga e Mastella erano i Verdini di oggi. Giocare a fare le vergini dopo parti plurimi è davvero patetico.

 

Pierluigi Bersani è poi riuscito domenica (13 marzo, ndr) dove raramente era riuscito: non pago del disgraziato slogan “smacchiare il giaguaro”, non pago di avere perso elezioni già vinte, non pago di essersi fatto infinocchiare da due imbarazzanti personaggi come i 5 Stelle Lombardi e Crimi, insomma non pago, è riuscito a dire che Renzi governa con “i miei voti”, firmando la fine politica sua e dei suoi e dichiarando, implicitamente, la sua incapacità di far quadrare il cerchio. Si è affrettato ad aggiungere “miei nel senso di voti del Pd”, peggiorando la situazione e chiarendo che nella sua concezione ed in quella dei suoi, cioè nella concezione di D’Alema, il Pd è “di qualcuno”, non è una forza politica soggetta a cambiamenti di maggioranze interne come democrazia insegna. Questo a proposito della “concezione padronale” del partito della quale delirava Roberto Speranza (preso a sberle anche da Lucia Annunziata a “In 1/2 ora”, nota per non essere esattamente un renziana di ferro).

 

Questo è ciò che uomini politici rancorosi ed ancorati al passato sono in grado di fare. Gente che ha perso di vista una questione fondamentale: che votino per Salvini o per il M5S, per il Pd o per SI, gli Italiani di gente così non vogliono saperne più. Renzi un merito ce l’ha: questa cosa l’ha capita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(14 marzo 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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