di Giovanna De Rosa
E’ molto complicato vivere in questa Italia perché è tanto l’astio che circonda chiunque, dal più inetto al più colto, dal più sfigato al più potente, da rendere molto difficile rendersi conto di come vanno le cose sul serio. I social network, tutti, nati come strumento di “unione” [sic] e di condivisione” [sic] sono diventati il peggior ricettacolo dei peggiori vizi dei peggiori Italiani. Noi stessi come molti altri siamo bersagliati negli ultimi giorni da insulti di tutti i generi per le nostre posizioni nei confronti del M5S. Spiegare che se Pd, Forza Italia, Lega, Si o chi per loro si comportasse allo stesso modo e con le stesse dinamiche, scriveremmo esattamente le stesse cose, non serve a niente. Ci accusano addirittura di essere segretamente finanziati dal Pd (¡ojalá! si dice in Spagna… Forse avremmo meno problemi di sopravvivenza). Noi quello che facciamo è bloccare questi dementi, per la loro protezione. Perché l’alternativa al blocco è la querela. E alcuni se la sono pure presa. Perché a tutto deve esserci un limite.
E’ molto complicato vivere in questa Italia dopo che si ha avuto la fortuna di vivere in altri paesi, non solo del blocco occidentale, dove le leggi e le vita politica sono molto più semplici, dove ciò che è “sì” lo rimane, così come ciò che è “no”. E’ difficile leggere dietro la cattiveria, l’incultura e l’ignoranza degli Italiani il grande dolore di non poter vivere l’Italia che vorrebbero, perché in fondo è questo che li muove, la frustrazione, il volere un’Italia diversa da come la vedono. Sono però incapaci di prendere decisioni, perché in fondo sono dei pavidi, e vedono ovunque privilegi che essi non hanno, fortune delle quali non godono, bellezze che non gli appartengono, inarrivabili traguardi tagliati da pochi che a loro sono preclusi. La discussione sulle Unioni Civili parte proprio da lì: dalla paura che maggiori diritti a qualcuno ne tolgano ad altri. E i cattofascisti, i razzisti populisti giocano su queste paure, che sono reali.
Nonostante tutto, nonostante i pregiudizi e le cattiverie, nonostante le offese da querela sui social, nonostante la becera ignoranza di troppi, un tempo chiusa in bar fumosi attorno a bigliardini e stecche da biliardo ora diventata spettacolare e mostrata oscenamente via Internet o televisioni di inquietanti tycoon televisivi troppo spesso prestati alla politica, c’è un sacco di gente che le cose le fa e cerca di farle bene ed onestamente. Senza criticare gli altri. Senza dar loro la colpa. Facendo il meglio che può nel miglior modo possibile. E spesso mettendoci faccia e pelle, sapendo il rischio che corre: essere coperti di insulti da coloro che invece hanno scelto di vivere una vita sulla pelle degli altri. Dando sempre la colpa agli altri. Aspettandosi sempre qualcosa dagli altri. Demolendo quello che gli altri hanno costruito o cercano di costruire spesso per mero spirito competitivo (invidia feroce, in soldoni). Poi ci sono quelli che sull’invidia e sull’odio per l’altro, qualunque cosa faccia, sul “come faccio le cose io non le fa nessuno”, ci ha addirittura costruito un movimento populista che millanta miracoli e crea disastri. E che come programma politico ha scelto l’insulto.
Nelle poche righe che vi abbiamo proposto sta la fondamentale differenza tra chi ha scelto di fare le cose conscio dei rischi (e degli insulti) e chi, invece, ha scelto la scomodissima posizione di criticare gli altri (e prendersi la libertà di insultarli) essendo certo del “se ci fossi io…”, senza nemmeno lontanamente pensare di sporcarsi le mani.
(24 febbraio 2016)
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