di Daniele Santi
L’orrendo dittatore Yammeh ha compiuto il suo capolavoro: dopo avere ridotto il suo paese alla fame, averlo fatto uscire dal Commonwealth accusando quest’ultimo di essere un’organizzazione “neocoloniale”, avere espulso il rappresentante dell’Unione Europea, tutto naturalmente senza rinunciare al denaro che dall’Unione Europea e dal Commonwealth arrivava sotto forma di aiuti umanitari poi ritirati per le continue violazioni dei diritti umani, ha stabilito unilateralmente che il milione e ottocentomila abitanti del Gambia, 95% di essi musulmani, saranno cittadini di una Repubblica Islamica di stampo iraniano perché a lui piace così.
L’annuncio è stato dato alla fine dello scorso dicembre ed ha lasciato attoniti gli abitanti del paese che vedranno ridursi le loro già limitatissime libertà personali, ma la grande compassione del dittatore che mezzo mondo odia ha subito lasciato intendere che le donne del paese non avrebbero subito limitazioni alle loro libertà personali, salvo ordinare subito dopo con un decreto governativo che tutte le donne indossimo il velo sui posti di lavoro.
La carta costituzionale del Gambia definisce il paese uno stato laico, ma Yammeh se ne frega, confortato dall’appoggio e dal giubilo degli Imam del paese subito accorsi a celebrare la lieta islamista novella e ricevuti dal vicepresidente del paese e ministro per le Politiche Femminili. Una donna.
Il Gambia è una sottile striscia di terra con sbocco al mare completamente circondata dal Senegal. Non è difficile immaginare che sarà proprio Dakar, già nel mirino del terrorismo islamista, a subire i primi contraccolpi dell’istituzione della teocrazia del Gambia nella regione. Difficile non immaginare un disegno più ampio per la completa destabilizzazione della zona che venga proprio dall’estremismo sciita.
(13 gennaio 2016)
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