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Giustappunto! di Vittorio Lussana: “Dear Financial Times”…

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Vittorio Lussana 02di Vittorio Lussana    twitter@vittoriolussana

 

 

 

 

 

Per fortuna, tutto il mondo è paese. E anche il mondo anglosassone dimostra di avere i propri ‘giornalacci’, dalle cui colonne ogni tanto saltano fuori ‘scribacchini’ del malaugurio di svariato genere e tipo. Come nel caso del ‘dotto’ (sic!) ‘Financial Times’, che da un po’ di tempo in qua ospita i pareri dell’economista tedesco Wolfgang Munchau, un esperto il quale, scrutando la propria personale ‘palla di vetro’, ha vaticinato per l’Italia un destino di cataclismi finanziari e disastri politici. Si tratta di uno studioso non nuovo alle polemiche, tanto da esser stato soprannominato, negli ambienti accademici: ‘Boom Boom Munchau’. Dopo un passato giovanile da ‘iperliberista’, a un certo punto costui si è improvvisamente convertito all’economia ‘keynesiana’. Così, per grazia ricevuta. Benché descritto dal desolante ‘ciarpame’ giornalistico di casa nostra come “un eminente studioso di economia”, siamo di fronte, in verità, al classico ‘professorino emergente’, pronto a scatenarsi in polemiche piuttosto suggestive contro Angela Merkel, oppure contro qualche deputato democratico americano, colpevole di essere “amico di Matteo Renzi”: un’aggravante che non ci appare così fondamentale tra le ‘more’ dei problemi economici europei, ma tant’è. Il nostro Munchau, già da tempo ce l’ha su con la signora Merkel in quanto colpevole di possedere una visione rigida dell’economia, che prevede conti in ordine e una selezione naturale sui mercati delle imprese più sane, a danno di quelle ‘dopate’. Inutile sottolineare, per l’ennesima volta, come ‘Angelona’ non sia affatto una Margaret Thatcher in economia, bensì una cattolica-democratica con una propria impostazione conservatrice, discutibile quanto si vuole, ma rispettabilissima. Niente da fare: nonostante ella appartenga al fronte moderato e il suo Partito, la Cdu, risulti iscritto al Ppe, destre e sinistre di mezza Europa continuano a descriverla come una sorta di ‘signorina Rottermayer’, che impedirebbe alle fresche e giovani forze dell’Europa (le ‘Heidi’ della situazione) di far fare alla ‘povera Clara’ – l’Unione europea – una cosa qualsiasi. Vabbé, fin qui siamo nel campo dell’opinabile: può anche darsi che, un domani, emerga effettivamente quest’anima ‘nera’ della leader tedesca e che ci ritroveremo costretti tutti quanti a imbrattare pagine e pagine d’inchiostro per dirgliene ‘quattro’. Comunque sia, tornando al nostro ‘professorino’, possiamo innanzitutto affermare che costui ha iniziato a pronosticare i propri lugubri scenari sulla ‘zona-euro’ allorquando si è accorto – tra i primi, a dire il vero – dell’imprevisto rallentamento dell’economia cinese dei mesi scorsi. Fin qui, ci siamo: sia la Cina, sia l’India e gli altri Paesi emergenti hanno ‘imboccato’ una stabilizzazione verso il basso del proprio Prodotto interno lordo. Un dato che non è detto si tramuti in un fattore obbligatoriamente negativo per l’Eurozona, soprattutto per quei Paesi, come l’Italia, a forte ‘vocazione’ per l’export. Sia quel che sia, anche su tale versante ci si può sbagliare. E, anche in questo caso, può darsi che, tra qualche mese, si sia costretti a riconoscere al nostro ‘her professor’ poteri ‘esoterici’ da mago di Bisceglie. Tuttavia, nel suo articolo di approfondimento, egli a un certo punto arriva a descrivere i problemi italiani un poco ‘a spanne’. Il nostro Volfango scrive, per esempio, che “l’Italia non ha provveduto a ristrutturare il proprio sistema bancario”. La qual cosa non è affatto vera: alcuni recenti articoli a firma Carla De Leo, pubblicati sulla testata di approfondimento politico ‘Laici.it’, hanno a più riprese descritto la profondissima riorganizzazione interna avvenuta in questi ultimi due anni nel mondo dei nostri istituti di credito, in cui praticamente tutti, da Mediobanca alla più piccola Cassa di risparmio rurale e artigiana della bergamasca, hanno dovuto mettersi di ‘buzzo buono’ a riconteggiare crediti inesigibili e sofferenze bancarie. Come possiamo notare, non sono soltanto gli italiani a non leggere un ‘tubo’ o ad appassionarsi a diatribe da tifoseria calcistica: si tratta di un fenomeno di portata continentale. Comunque sia, questo nuovo ‘Mozart’ dell’economia si spinge addirittura a ipotizzare l’uscita dell’Italia dall’Eurozona: indovinate perché? Perché Renzi vuol ‘tagliare’ le tasse sulla casa. Ora, a parte il fatto che tale specifico provvedimento il Governo non solo non lo ha ancora portato nelle aule parlamentari per la sua discussione ed eventuale approvazione, ma risulta ancora in fase di studio, al fine di rispettare la nostra stessa Costituzione, la quale impone l’applicazione progressiva di un tributo qualsiasi (chi più ha, più è tenuto a pagare…) se c’è una cosa su cui l’ex ministro dell’Economia del Governo Letta, Fabrizio Saccomanni, aveva fatto un ‘casino pazzesco’ (non soltanto per colpa sua, a dire il vero, bensì per i metodici ‘ricatti’ imposti dai ‘grandi economisti’ di Forza Italia, che allora sostenevano l’esecutivo delle ‘larghe intese’) è stato proprio nel merito di questa ‘storia’ delle tasse sulla casa, in un primo tempo tolte e, in seguito, reinserite con nomi e acronimi sempre più ‘sadomasochisti’. Insomma, di cosa diamine parli quest’ennesimo economista ‘in mongolfiera’, che firma analisi terroristiche sul ‘Financial Times’, lo sa soltanto lui. Tra processi alle intenzioni e disattenzioni macroeconomiche da laureato della ‘mutua’, il nostro ‘keynesiano di sinistra’ non è ancora riuscito a comprendere che l’idea di provare a ‘star dentro’, almeno per quel che è possibile, ad alcuni criteri di rigore finanziario sia una linea ‘sposata’ anche da molti ‘keynesiani’ propriamente detti, quelli senza ‘aggettivi’ al seguito. Se veramente si vuole che uno Stato qualsiasi possa investire sul comparto pubblico o delle grandi opere, al fine di innescare il meccanismo del ‘moltiplicatore degli investimenti’ (senza voler tirare in ‘ballo’, in questa sede, il ponte sullo Stretto di Messina, che rappresenta una questione complicata da fattori ‘altri’, come per esempio i problemi sismici, di sicurezza, d’impatto ambientale e di tutela del territorio…), esso deve ritrovarsi nelle condizioni di potersi permettere una programmazione di operazioni di ‘massimizzazione’ economica della spesa, anziché cercare di convolare a ‘nozze’ con i ‘fichi secchi’: è chiaro? Non ci si può limitare a enunciare la classica ‘formuletta’ accademica dell’equazione ‘keynesiana’ (+ investimenti = + risparmio) senza tener conto che operazioni in deficit, più di tanto, non se ne possono fare e che dunque, su tale versante, si sia costretti a entrare in un terreno di scelte politiche effettive, reali, pesantemente concrete. Per carità: è anche vero che scoprire come anche da altre parti vi siano ‘polemisti emergenti’ rappresenta un dato, tutto sommato, consolatorio, poiché cominciavamo a pensare di essere solamente noi italiani a far scrivere sui giornali o a mandare in televisione gente assai poco ‘registrata’. Evidentemente, il fenomeno è più ampio. E si collega a certi ‘sgomitamenti’ di carriera dettati dai cattivissimi meccanismi di ‘ricambio’ generazionale all’interno del mondo accademico. Basta saperlo ed esserne ben consapevoli: do you understand, dear ‘Financial Times’? Thank you, very much.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(27 novembre 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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