di Il Capo
Fare un mestiere (come il nostro) per il quale i social sono diventati nostro malgrado, indispensabili, è un po’ come avere un gatto che ti morde il naso mentre vuoi dormire. Fastidioso, ma al gatto non rinunceresti mai. Quindi non resta che prendere il lato ludico della questione, che è assai divertente a ben guardare. Il social non è nient’altro che la riproposizione che il bar sport sotto casa nel paesello di cinquecento anime, il rispolvero dell’antico cortile delle comari che si sedevano al fresco d’estate raccontandosi i fatti loro che eran sempre quelli degli altri; il social è il rifugio di tutti i falliti ed i furiosi che sul social trovano terreno fertile per esprimere pensieri [sic] di una pochezza che nemmeno al bar sport o nel cortile della comari avrebbero trovato ascolto; il social infine, garantisce l’impunità (pare ancora per poco, fortunatamente) ed il diritto di ridere degli spaventosi errori grammmaticali (non si tratta di dislessia da tastiera signori miei, ma di ignoranza alla cinquantaduesima). Il social, infine, è un perfetto rilevatore dell’emotività, perché il commento viene scritto leggendo un titolo, senza preoccuparsi di ciò che dice l’articolo, guardando un video o una foto. Insomma è il trionfo della superficialità italiana, della cattiveria gettata lì per fare male, dell’incultura, del coattismo, del nulla.
Di seguito, con relativa cattivissima integrazione, alcuni post di commento ad un nostro articolo pubblicato sulla nostra pagin Facebook intitolato Filo spinato. I criminali chi sono, quelli che entrano o chi impedisce di entrare?.
Siamo andati a dare un’occhiata ai profili delle persone che hanno risposto, concentrandoci sulle risposte più imbecilli, più immediate, più scritte di pancia, a quelle più intolleranti alla base delle quali evidentemente non c’è nessuna forma di ragionamento: la prima risposta appartiene ad una donna che definiamo abbondantemente in là con gli anni, la cui foto denuncia insieme ad un inarrestabile umanissmo decadimento fisico, il bisogno irrefrenabile di contenerlo: quindi minogonna, posa da diva, tette in bella vista, scollatura generosa, cosce in vista come si fa in tivù, e proprio come si fa in tivù, nessuno spirito critico, capacità nessuna o pochissime, intelligenza quasi nulla, desiderio di apparire tanto.
Risultato: il vuoto. Ma la precisa determinazione a trovare un colpevole al proprio nulla, nel caso specifico il migrante che entra.
Il resto dei commenti è noia: noia profonda dalla quale il profilo Facebook riesce a toglierci per qualche ora prima che la catatonia conquisti, trascini verso un giaciglio dove appoggiare inutili e stanchissime membra e via, fino all’inutile post successivo.
Rimaniamo stupefatti, nella nostra imbecillità, di fronte alle infinite potenzialità dei social che non solo vengono ignorate di più, ma sono addirittura e purtroppo oscurate da decine di milioni e ancora milioni di post sgrammaticati (cosa ne dite della terza persona del verbo avere scritta senza “h” e con l’accento sulla “à”?, lo trovo geniale nella sua infantile banalità). Nonostante questo, ci ostiniamo, nostro malgrado a starci dentro. Perché della bestialità da social, purtroppo, non se ne può più fare a meno.
(18 settembre 2015)
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