di Giovanna Di Rosa
L’Italia è un Paese veramente stravagante: ogni cambiamento deve avvenire per concessione “ottriata”, mai in seguito a una conquista di diritti. E’ un’impostazione ottusamente conservatrice, profondamente qualunquista, che denota un’arretratezza di mentalità a dir poco agghiacciante. Nel campo dei diritti civili, le cose, qui da noi, stanno esattamente così: l’introduzione di nuove libertà pubbliche e lo stesso processo di innovazione sociale non può essere ottenuto da chi reclama quella libertà in quanto ricerca concreta di una condizione di “normalità”, bensì dev’essere concessa dall’alto, in modo che tutti possano partecipare alla festa, anche chi, per lungo tempo, si è aspramente opposto a ogni genere di progresso.
Ne abbiamo parlato con Bobo Craxi, responsabile esteri del Psi, un Partito fortemente identitario, che richiama non solo il diritto, ma addirittura l’urgenza di una trasformazione coerentemente socialista e democratica del nostro Paese, continuamente impantanato tra le secche del generalismo indistinto e delle contraddizioni di un mondo della politica italiana sempre più avvilito da voltagabbanismo e trasformismo.
Onorevole Craxi, cominciamo dall’ennesimo episodio definito di “trasformismo”: il deputato Di Lello ha lasciato il Psi per aderire al Pd, annunciandolo con una intervista al Corriere che ha scatenato polemiche: qual è il suo pensiero intorno alla questione?
L’iniziativa dell’onorevole Di Lello appare un gesto politico dettato da un’esigenza di posizionamento. E, col passar dei giorni, ha mosso più sentimenti di ripulsa che di riflessione politica. Essa, tuttavia, si colloca alla fine di un ciclo politico nel quale il Psi, nonostante il suo ritorno in parlamento, evidentemente si ritrova alle prese con un problema di prospettiva e di sopravvivenza. In un certo senso, Di Lello ha offerto una soluzione semplice e immediata a un problema politico complesso, che comporterebbe una forte dose di riflessione, ma anche il rischio di segnalare classi dirigenti egoiste e stanche, che non hanno voglia di affrontare i problemi.
Ma quello di Di Lello è un errore politico, oppure una scelta personale?
Allo stato, si configura come una scelta personale che, tuttavia, possiede un valore politico di una certa natura. Lo si considera un errore perché l’evoluzione del Partito democratico di Matteo Renzi esclude in radice un legame politico, storico e programmatico con la tradizione del socialismo italiano. Se sia stato fatto questo riferimento esplicito, a me è sfuggito. Si dice che il Governo compie atti che sarebbero in sintonia con parti importanti della nostra storia: bene, se così fosse. Ma ciò non mi convince, di certo, a cancellarla, bensì a fare esattamente il contrario: a rilanciarla…
Tutti accusano il Pd di deriva a destra, ma quando si apre una porta possibile per stanarlo dall’interno e spostare l’asse della sua politica più a sinistra, sembra che, in generale, si preferiscano altre soluzioni: lei cosa ne pensa?
Non so se sia corretto definire con le categorie di destra e sinistra le politiche pubbliche di un Governo in tempi di crisi. Se così fosse, Alexis Tsipras ha accettato il diktat della destra finanziaria e si é battuto per lei nel suo parlamento. Il punto, per quanto riguarda l’esperienza di questo centrosinistra, è che esso ha come motore, innanzitutto, l’emarginazione degli avversari interni e, in secondo luogo, l’indebolimento dei corpi intermedi. In un certo senso, è la politica che cerca di riappropriarsi del suo ruolo. La questione è che c’è troppo personalismo e troppo populismo: prima o poi, si muore di asfissìa. Non c’è dubbio che oggi il quadro politico complessivo non presenti alternative, almeno sino a quando non si dovranno discutere i nodi essenziali, relativi all’assetto istituzionale e democratico del nostro Paese: intorno a temi di tale importanza non ci possono essere richiami, obblighi o responsabilità di Governo, poiché attengono a principi democratici non negoziabili.
C’è paura di un “fuggi fuggi” generale verso il centro rappresentato dal Pd?
Il “Partito della Nazione” è realisticamente l’unico obiettivo politico che Matteo Renzi possa darsi al fine di contrassegnare la propria leadership. D’altronde, i tanti strappi con l’ortodossia del centrosinistra “ulivista” e post comunista si spiegano solo se si intende costruire un Partito democratico fortemente incentrato sulla figura del leader, dunque disomogeneo sul piano ideale e identitario. Chi si muove, lo fa scommettendo le sue “fiches” sull’irreversibilità di questo processo, sciogliendo ogni legame col passato. Per gli ex comunisti la parabola è più agevole; gli ex democristiani l’hanno praticata almeno per vent’anni; i socialisti hanno qualche remora in più, poiché sono i “vincitori-sconfitti” della Storia e hanno pagato un dazio troppo alto per poter riammainare bandiera soltanto per un mero calcolo opportunistico. Il socialismo democratico ha avuto tante sfaccettature nella Storia, ma il suo riadattamento e la sua riorganizzazione esercitano ancora un fascino unico: è questa la ragione per la quale si nutre, nei nostri confronti, un’invidia che si trasforma in aperta ostilità.
Costruire un asse che “stimoli” il Pd, magari unendosi ad altre forze culturalmente e realisticamente laiche come i radicali, per esempio, è una soluzione politicamente praticabile, secondo lei?
Penso che si possano costruire delle alleanze elettorali con segmenti vitali della società, in cui le culture democratiche abbiano indubbiamente un peso. Quello della laicità è un tema, ma non dobbiamo essere insensibili alle questioni legate al lavoro e alla difesa dei diritti dei lavoratori, occupati e non.
Intorno alle questioni come i diritti individuali e le nuove libertà pubbliche, il Psi come si colloca, in questa fase politica?
Sulle libertà individuali, ricordo che, alla fine degli anni ’80, intensificammo le nostre discussioni e molte riflessioni su diversi temi e problemi etici. Tra gli intellettuali internazionali più sensibili alle questioni di etica pubblica e di difesa dell’individuo, spesso si incrociavano fior di liberali considerati, nel loro Paese, dei conservatori. Se l’idea di sinistra continua a coincidere con l’idea di progresso e di avanzamento sociale, è evidente che essa ha il dovere, sempre, di promuovere gli stimoli per legiferare in senso più liberale, aperto e inclusivo, segnalando quelle nuove frontiere del diritto che ancora attendono di essere disegnate. Oggi, le nuove tecnologie e la rete pongono problemi di etica pubblica enormi e, in un certo senso, si deve lavorare per una regolamentazione, non per un “laissez faire” pericoloso. Così come le questioni relative alla sicurezza, che pongono problemi non secondari, legati alla privacy dei cittadini. La libertà di ascolto e di pubblicazione di ciò che si ascolta, per esempio, è comunque un problema di etica pubblica da risolvere e sul quale legiferare. Insomma, sul terreno delle libertà pubbliche e delle tutele, penso che la cultura socialista italiana possa e debba fare uno sforzo di aggiornamento e di approfondimento, per tornare a essere una costola vitale del mondo del progresso e delle nostre stesse trasformazioni sociali.
(9 agosto 2015)
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