di Aurelio Mancuso twitter@aureliomancuso
Mancano solo due giorni e piazza San Giovanni sarà (riempita?) da un fronte di associazioni cattoliche reazionarie che hanno lanciato la nuova crociata contro le fantomatiche teorie gender e la legge in discussione al Senato sulle unioni civili. Le gerarchie cattoliche, a differenza di quanto accaduto nel 2007 con il primo Family Day, si sono tenute più defilate, hanno inviato lettere di incoraggiamento, di sostegno all’incontro, ma non altro. Comunque non è poco perché nelle parrocchie, davanti alle scuole (in special modo materne ed elementari) la propaganda è stata capillare e per la prima volta insieme a questa galassia di cattolici integralisti scenderanno in piazza anche le chiese pentecostali, avventiste del settimo giorno, anche alcuni gruppi musulmani. Un fronte in fondo che in America e in molte parti dell’Europa si è opposto ai matrimoni egualitari. Questa deriva, che ha anche dei risvolti teologici, perché spinge il confronto dentro la chiesa cattolica su posizioni creazioniste e di rifiuto delle determinazioni scientifiche è un campanello d’allarme soprattutto interno al popolo di Dio. Se questa è la china che si vuole prendere allora non è sbagliato rilevare che a fronte di una narrazione pubblica buonista di Francesco, lo stesso sia sensibile alla condizione di difficoltà che vivono le chiese locali latinoamericane, africane, e asiatiche proprio a causa dell’evangelizzazione aggressiva delle peggiori sette estremiste evangeliche. Noi ancora una volta (insieme alle donne) siamo solo ritenute e ritenuti i soggetti “deboli” da colpire, in funzione di una durissima battaglia interna in vista anche delle conclusioni del Sinodo sulla famiglia. Condivido la scelta della gran parte del movimento lgbt di ignorare l’evento almeno finché non sarà avvenuto, sia per non fornirgli ulteriore pubblicità (bastano i quotidiani “amici” come La Repubblica che gli dedica intere paginate), sia perché il tentativo di contrapporre le famiglie tradizionali con le altre è di una debolezza sociale e culturale evidente. Certo per sostenere tesi bislacche, si lanciano messaggi allarmistici e bugiardi sul come nelle scuole le lobby “omosessualiste” stiano tentando con l’appoggio di governo, organizzazioni internazionali, e così via, di “traviare” i bambini, ma poi queste affermazioni si scontrano con la realtà e, quindi, mostrano appieno la loro infondatezza. Però rimane che la risposta della collettività lgbt è altrettanto debole, perché non all’altezza dell’attuale sfida politica, sarebbe stato assai meglio quest’anno interpretare il Pride di Roma come pienamente nazionale, come momento di risposta politica e culturale forte, non di contrapposizione, ma di proposizione delle nostre esperienze di vita, del nostro essere da tanti anni facenti parti a pieno titolo del tessuto sociale, con le nostre famiglie, tra cui quelle omogenitoriali. Abbiamo ancora perso un’occasione, ma c’è anche da dire che se la politica si farà di nuovo intimorire dall’estremismo religioso, dovremo prenderne atto, anche valutando nuove modalità di presenza sociale. Permane, per me che sono cattolico, la constatazione che forse questa chiesa non ha ancora la capacità di riformarsi, che il suo cammino a volte pure sofferente, mi costringere sempre più a seguire altre vie per poter vivere serenamente la mia fede, non sono io che abbandono, ma è la gerarchia che non vuole in alcun modo fare un bagno di autenticità e umiltà.
(18 giugno 2015)
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