di Il Capo
Stiamo entrando nel periodo caldo dei Gay Pride, genti di tutta Italia riunite sotto varie sigle e per varie ragioni, con l’obbiettivo comune di fare in modo che la pavida politica italiana regali a questo paese la tanto agognata parità di diritti per tutti.
Le modalità sono quelle che conosciamo, tanti gruppuscoli di volontari che hanno come solo obbiettivo della loro vita la tanto agognata parità di diritti delle persone lgbt, o lgbtq, o lgbtqi, o rstuvz viva il mondo analfabeta, rappresentanti di associazioni che nel corso della loro inutile esistenza non sono nemmeno riuscite a trovare un linguaggio comune, preferendo scannarsi, partorire ridicoli documenti politici atti solo a riempire certe bocche di concetti altisonanti, ma del tutto vuoti, ed a fare partorire rappresentanze di parlamentini interni dove parole come “assemblea”, “direttivo”, “documento politico”, “elezioni” (interne) fanno sentire importanti. Quasi come avere una vita.
Un vita naturalmente, che non si ha, perché là fuori tutti sono cattivi e vogliono la morte delle persone lgbt, che non “mi accettano”, che “mi fanno sentire diverso”, che “mi discriminano”. Fermo restando che la discriminazione esiste, esiste contro le donne, contro le persone omosessuali, contro le lesbiche, esiste all’interno della comunità [sic] omosessuale di questo paese verso i gay effeminati, i e le transessuali e mi spiace non avere avere registrato il commento di una coppia di giovani omosessuali che manifestavano a voce alta, in treno, tutto il loro odio verso gli arabi, mischiandoli allegramente con i mercenari dell’Isis esattamente come certuni mischiano omosessualità e pedofilia, fermo restando – dicevo – che la discriminazione esiste, cosa hanno fatto queste persone per cominciare ad esempio, ad eliminarla dal loro linguaggio e conseguentemente dalle loro azioni? Non so quante volte ho ascoltato l’espressione “etero di mxxxa”, o “brutto frxxxo”, o “lella del cxxxo”, e potrei proseguire. Non è moralismo, è disgusto.
Vorrei evitare di scendere nel dettaglio rispetto ai vari documenti politici che ho avuto la ventura di leggere negli ultimi giorni e sui quali non proferirò verbo perché non sono fatti miei, la mia lotta la faccio in altri modi. In più gli organismi dirigenti delle associazioni lgbteccetera italiane sono sensibili, per non dire piuttosto, ed inutilmente, permalosi. Considerando che agli insulti ci sono abituato e me ne strafrego, vorrei soffermarmi invece su un fatto sì semplice che pare essere passato troppo silenzio anche nel pieno degli strombazzamenti delle associazioni lgbt italiane a seguito della vittoria dei sì nel referendum sul matrimonio egualitario in Irlanda: se date un’occhiata alle numerose foto ella straordinaria campagna – anche di popolo – che ha caratterizzato l’intero iter che ha portato al “Sì” vedrete che nelle piazze, nelle strade, ovunque ci fosse da gridare “sì!”, non c’era una sola sigla di una sola associazione. C’erano persone, cittadini, che tutti insieme volevano che il paese facesse un passo avanti. Non c’erano presidenti di associazioni che reggevano striscioni e sorridevano ai fotografi e si sentivano importanti. C’erano persone. Tutte uguali. Contro chi le voleva mantenere diverse.
Ho fiducia nel fatto che la legge sulle Unioni Civili potrebbe venire finalmente approvata: non sento il bisogno di questa legge da un punto di vista personale, sono sempre stato allergico alle carte bollate ed ai contratti travestiti da feste famigliari. Se fossi come certuni direi che siccome non interessano a me, le Unioni Civili non sono necessarie. Non sono nemmeno tra quelli che festeggeranno l’eventuale approvazione in piazza insieme alle associazioni lgbt che si assumeranno il merito di avere finalmente un paese decente: se si sono persi vent’anni la colpa è da imputare proprio a loro, alle loro politiche scellerate, alla loro incapacità di dialogare con tutti i cittadini, soprattutto con chi d’accordo non era, al loro lingaggio settario e poco comprensibili, all’avere parlato soltanto al loro ombelico – ai loro associati – dimenticando che il consenso politico si crea fuori dal proprio giardino e che per approvare leggi servono voti e non buoni rapporti con questo o quel deputato, in un solo concetto non si è ottenuto nulla perché si è “discriminato” pensando che una legge di uguaglianza fosse utile solo ai paria. A chi cioè certi diritti non ce li aveva. Contesto a troppi presidenti di associazioni di avere utilizzato la loro carica per fare carriera politica nascondendosi dietro il fatto che dalla loro nuova poltrona sarebbero stati più utili, abbiamo visto quanto. Non ho stima alcuna di queste tipo di associazionismo buonista fatto più per se stessi che per trovare soluzioni ai problemi e spero che venga spazzato via a favore di nuove forme di aggregazione che riescano veramente e profondamente ad incidere sulle scelte della politica.
Ma per fare questo occorre una intelligenza slegata dal proprio ego e dalla propria vanità che francamente non vedo da nessuna parte se non in pochissimi che a certo movimentismo dilettantesco e qualunquista hanno già detto addio da tempo. Dunque felice Gay Pride a tutti.
(3 giugno 2015)
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