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Visioni di #milamercadante: Elaine Sturtevant, l’Elogio della Differenza a Napoli

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Elaine Sturtevant 00di Mila Mercadante  twitter@mila56170236

 

Subito dopo il MoMa di New York e il MoCa di Los Angeles anche il museo MADRE di Napoli dedica una mostra retrospettiva alla grande Elaine Sturtevant, e per la prima volta è un’istituzione pubblica ad accogliere le opere dell’artista americana, morta intellettualmente giovanissima a 89 anni a Parigi nel 2014, non prima di aver lasciato disposizioni precise su come avrebbero dovuto articolarsi nel futuro le esposizioni dei suoi lavori. Chi entra al MADRE, all’inizio di un percorso che si svolge in 17 stanze, si trova davanti a una carta da parati su cui è scritto “wanted”. Quella carta da parati è il contrassegno immediato e molto ironico di un pensiero che scardina il valore dell’originalità e dell’unicità dell’arte.

 

Il nostro mondo fatto di trasgressioni e simulazioni è lì, nei bellissimi e inquietanti video-art a cui si dedicò con passione negli ultimi 15 anni di vita, ed è lì, nella ripetizione seriale dell’arte altrui. Noi oggi siamo sopraffatti dalla replica dei corpi, del sesso, della violenza, delle icone, delle parole, della musica: il nostro è il tempo delle citazioni e delle cover, del già fatto e del già detto che si accumulano. Sturtevant, lungi dal voler rappresentare l’horror vacui dello straniamento, adopera la ripetizione per svelarci cosa possiamo trovare dietro all’apparente appiattimento del nostro giudizio e del nostro discernimento di fronte al déjà vu: la cellula germinale del “sentimento creativo”, vale a dire lo strapotere dell’arte, la quale, una volta annullata la propria unicità, diventa un convoglio che ci conduce in un viaggio verso la soppressione di tutte le categorie del pensiero, dello spazio e del tempo.

 

Sturtevant si è avvicinata all’arte nei primi anni ’60, dopo il divorzio e quando aveva già quarant’anni. E’ stata per molti anni derisa e criticata da un contesto culturale che non fu capace di percepire la sua geniale anticipazione dell’appropriazionismo – nato 20 anni dopo – e addirittura del cybermondo, che ha modificato per sempre il rapporto dell’uomo col concetto di unicità. Lei trovava ridicolo e vecchio il copyright molti anni prima che diventasse un argomento di discussione.  Nel 1965 la sua mostra fatta di “appropriazioni” di opere altrui fu possibile anche grazie all’aiuto ricevuto dagli autori che attentamente sceglieva: Warhol – suo amico – le permise di utilizzare la matrice originale della serigrafia dei celebri “Flowers” realizzati solo sei mesi prima, altri la istruirono sulle tecniche da utilizzare, ma ben presto tutto il milieu culturale che l’aveva accolta con simpatia cominciò a discreditarla apertamente e a isolarla, al punto tale che Sturtevant fu costretta a ritirarsi e a rinunciare a esporre le proprie opere per oltre dieci anni. Il senso della sua arte è stato capito e apprezzato con colpevole ritardo, quando finalmente il suo nome è stato accostato a quello di Gilles Deleuze, che sulla ripetizione e sulle differenze ha costruito una cattedrale teorica. L’ arte di Sturtevant, profondamente deleuziana, ha dato origine a minuziosi dibattiti filosofico – letterari.  L’artista ha uno stretto legame di parentela anche con Foucault, Nietsche, Derrida, e perfino con quella che Deleuze chiamava la scoperta di Antonin Artaud, l’intuizione rivoluzionaria del corpo senza organi, dell’uomo affrancato tanto dal metaforico “giudizio di Dio” quanto dalla prigione dei simboli e dell’organizzazione “finita” del mondo. Il punto d’arrivo di Sturtevant è più o meno lo stesso: annullare la gabbia e i limiti di un principio prestabilito e “primo”, liberare la comunicazione dai legami di un contesto.
Sturtevant riproponeva la produzione di artisti come Duchamp, Warhol, Jasper Johns, Segal, e poi Lichtenstein, Beuys, Oldenburg, McCarthy e mi fermo qui perché l’elenco è lungo.  Amplificando la teoria e la pratica della pop art è riuscita a non sminuirla né a offenderla: l’ha senz’altro superata, l’ha ossessivamente moltiplicata con l’aggiunta di una differenza, una piccola differenza che può sfuggire all’osservatore disattento, ma che c’è sempre e che è la chiave interpretativa del suo lavoro. E’ come un “se”, un poetico dubitativo attraverso il quale si accetta per vero l’originale e lo si abita per trasformarlo. Dimentichiamoci le parole “copia”, “imitazione” e “verosimile”, perché l’opera di Sturtevant vuole scardinare le nostre strutture mentali, vuole caparbiamente analizzare la capacità dell’arte – che coincide col “modello” eppure lo travisa – di agire sul tempo, di rivivere con la stessa autorevolezza grazie a un particolare disturbante, che non è mai casuale e che rappresenta la fiamma del continuo divenire.

 

 

E’ proprio così che la speculazione filosofica di Deleuze si materializza nell’arte di Sturtevant : per liberarsi da un pensiero che crea gerarchie (originale/copia, vero/falso, soggetto/oggetto, artista/opera, positivo/negativo, ragione/follia) occorre allontanarsi dall’idea stessa che vi sia qualcosa di predeterminato e pensare finalmente alla molteplicità delle differenze come a una liberazione dal criterio autoritario secondo il quale la differenza è la parte negativa della ripetizione. “Se il pensiero si liberasse dal senso comune e non volesse più pensare se non alla punta estrema della propria singolarità? Se anzicché ricercare il comune sotto la differenza, pensasse differenzialmente la differenza? Il pensiero allora sarebbe pensiero differente e pensiero della differenza, un puro avvertimento. Quanto alla ripetizione, essa non sarebbe più il triste avvicendarsi dell’identico, ma differenza spostata”. Lo scriveva un Foucault entusiasta a proposito di Deleuze. Chiarisce al meglio anche le intenzioni di Sturtevant, artista del futuro.

 

 

Sturtevant Sturtevant a cura di Stéphanie Moisdon in mostra dal 1 maggio al 21 settembre 2015 al Museo MADRE, via Luigi Settembrini 79, Napoli
Orari: 10 – 19,30. Domenica 10 – 20. Chiuso il martedì.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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