di Mila Mercadante twitter@@mila56170236
Quando si dice i complottisti, ma a volte li si invita proprio a carne e maccheroni. Prendiamo il caso degli ulivi pugliesi, quelli del Salento in particolare: di lati oscuri e di stranezze nella faccenda ce ne sono alcuni che neanche volendo si potrebbe ignorare. Mettendo da parte gli interventi estemporanei della signora Sabina Guzzanti, la quale con tutto il rispetto ormai si mette i guantoni per fare a pugni con se stessa, possiamo invece prendere in considerazione il rapporto di Eurispes e Coldiretti che parla inequivocabilmente di agromafie e nel quale il sociologo Luigi Russo ventila ipotesi speculative, e possiamo fidarci anche delle parole di Giancarlo Caselli che non ritiene il disastro Xylella una semplice fatalità. Difficile riassumere la saga del batterio, è lunga e si dirama in tanti piccoli rivoli. Cominciamo dal 2010, quando nell’istituto IAM in provincia di Bari si riunirono scienziati ed esperti di fama internazionale per discutere del problema Xylella Fastidiosa, un batterio che attraverso un insetto vettore, una minuscola cicala detta sputacchina, s’insinua nel tronco degli alberi e piano piano li fa seccare. Durante il work-shop allo IAM fu introdotto quel batterio a scopo sperimentale e per un’osservazione scientifica in loco. Va detto che in tutta Europa il batterio c -che si divide in quattro diversi ceppi –non è mai comparso. Appena un anno dopo il convegno allo IAM, nel 2011, successe che nei pressi di Gallipoli – in un’area di circa dieci ettari – gli ulivi cominciarono a seccare, ma nessuno evidentemente ci fece troppo caso.
Nessun allarme dunque fino al 2013, quando l’area salentina fu colpita da una sciagura spropositata quanto nuova: gli ulivi – notoriamente forti e resistenti – s’ammalavano, seccavano inesorabilmente. Si trattava di un fungo, di un lepidottero, di Xylella? E se la colpa era della Xylella Fastidiosa, chi l’aveva fatta arrivare fin lì? Forse qualcuno aveva importato piante infette dal Costa Rica o dal Brasile, oppure la sperimentazione voluta durante quel famoso convegno del 2010 in provincia di Bari aveva causato un contagio non arginato né circoscritto? Considerato che la sputacchina effettua voli brevissimi di non più di due metri, è legittimo domandarsi come mai sia arrivata indisturbata dal baresino fino a Gallipoli già nel 2011. La sperimentazione era sfuggita di mano? Le variazioni climatiche e l’incuria da parte dei coltivatori – sempre più a corto di risorse economiche – erano concause del problema? Se ne sono dette tante, l’unica certezza è che dal 2013 al 2015 nessuno si è occupato seriamente del disseccamento degli ulivi salentini, la stampa pugliese e quella nazionale non hanno posto attenzione al problema e nessun politico locale o nazionale ha raccolto le lamentele degli agricoltori fino a quando un bel giorno del febbraio di quest’anno il ministro Martina ha nominato commissario straordinario il capo della forestale in Puglia – Giuseppe Silletti – per fronteggiare immediatamente l’emergenza Xylella. In che modo? La UE ha stabilito che bisogna sradicare centinaia di migliaia di alberi già posti sotto sigillo, quelli malati e anche quelli che potrebbero ammalarsi: ulivi, pruni, mandorli, ciliegi e altre varietà di piante; bisogna eliminarli e poi bisogna continuare ad appestare il territorio con potentissimi pesticidi, i quali vengono già adoperati e sono prodotti dalla Monsanto, il gigante delle sementi transgeniche. Monsanto nel 2008 ha acquisito Allelyx – nome che è Xylella al contrario – una società brasiliana che studia la diffusione del batterio killer.
La UE vuole applicare per gli ulivi una normativa che riguarda i batteri Xylella che colpiscono gli agrumi e le viti, ma non ha ancora valutato (non le è stato neanche chiesto di farlo) se le piante pugliesi siano state colpite o meno dallo stesso batterio: in effetti ad oggi non esistono prove certe e scientifiche che stabiliscano una reale correlazione tra Xylella e disseccamento degli alberi salentini. Bruxelles non si è ancora pronunciata su un altro problema serio, quello dell’embargo francese: centinaia di prodotti agricoli pugliesi non potranno più entrare in Francia, ma neanche in Marocco e in Algeria. Già dal 2013 gli agricoltori pugliesi sopportano serie difficoltà, l’embargo li metterà definitivamente in ginocchio.
Quando Silletti s’è messo in azione la popolazione pugliese e gli ambientalisti italiani sono insorti per proteggere gli ulivi, alberi forti e resistenti che si possono curare con metodi naturali e potature, ma che non si devono abbattere né bombardare con gli insetticidi, pericolosissimi per la salute dell’uomo. Si è mossa anche la Procura di Lecce, che ha aperto un fascicolo contro ignoti per procurato disastro ambientale: la magistratura vuole venire a capo di questa ingarbugliata vicenda e vuole sapere com’è arrivata l’odiosa Xylella in Puglia. Per prima cosa ha chiesto all’Istituto Agronomico Mediterraneo di poter esaminare carte e documenti in suo possesso, ma lo IAM – che è un organismo internazionale – è protetto dall’immunità giurisdizionale e ha risposto con un no secco, secco come gli alberi d’ulivo. L’istituto IAM per discolparsi ha comunque prodotto una documentazione che attesterebbe la difformità tra i ceppi di Xylella importati per la sperimentazione e il batterio presente in Puglia, cosa che la Procura ritiene invece indimostrabile.
I sospetti che questa storia ha generato sono almeno due:1) Vogliono costruire villaggi turistici in Salento dopo aver raso al suolo le coltivazioni di ulivi? 2) Qualcuno è interessato ad aprire la strada alla coltivazione di piante transgeniche che resistono a tutte le insidie? Queste sono fantasie o ipotesi plausibili? Riguardo agli OGM credo ci sia da preoccuparsi – e molto – anche prescindendo dal caso Puglia. Per ora la legislazione vieta gli OGM, ma tra Expo da un lato e TTIP dall’altro le cose potrebbero cambiare prima di quanto pensiamo. Per il resto sarebbe meglio soffermarsi sui fatti accertati e reali: per almeno 3 anni si è trascurato il problema con un atteggiamento superficiale e indifferente, finché non si è giunti alla solita e ingiustificabile “situazione di emergenza”che conduce all’adozione di metodi irrazionali. Una volta scattato l’allarme le decisioni vengono spacciate sempre come le uniche possibili. Nel caso in questione i metodi scelti avrebbero un costo troppo alto perché provocherebbero la distruzione della storia, della cultura e della bellezza di un’intera regione senza peraltro salvaguardarne l’economia.
(27 aprile 2015)
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