di Vittorio Lussana twitter@vittoriolussana
Enrico Letta e Romano Prodi non hanno tutti i torti nel denunciare la deriva del Pd ‘renziano’ in quanto ‘Partito della nazione’. Oltre a ricadere nell’errore già commesso in passato da Silvio Berlusconi, cioè quello di ‘sposare’ un sistema politico strutturalmente ‘plebiscitario’ per trasformarlo in una “democrazia dell’investitura”, come ha dichiarato di recente da Pier Luigi Bersani, la questione di fondo del Partito democratico rimane quella di una forza politica che non è riuscita del tutto a fare i conti con la sua Storia, che non ha saputo ridefinire il proprio profilo progressista in una chiave interpretativa modernamente riformista e di sinistra. Sono caduti, in pochi mesi, il mito del lavoro, quello della solidarietà e quello di una società più equa e più giusta. Il divorzio dai sindacati e dalla classe operaia è stato brusco: Matteo Renzi ha deciso di abbandonare i lavoratori, i disoccupati e le fabbriche, al fine di mettersi alla ricerca di nuove basi sociali, che tuttavia non ha ancora trovato. La via imboccata è la solita ‘scorciatoia’ della metamorfosi ‘centrista’, rifiutando di fatto la strada ‘maestra’ della socialdemocrazia. Il carattere di questa vicenda, che si sta consumando in forme piuttosto drammatiche, è dunque quello di chi sta perdendo l’occasione per avere, anche in Italia, un grande Partito laburista di stampo socialdemocratico ed europeo. E il ‘peccato originale’ è quello di un amalgama tra ex comunisti ed ex democristiani che hanno mandato in ‘soffitta’ la sinistra italiana in quanto grande soggetto sociale, in grado di rappresentare l’altra ‘faccia’ della società italiana. In tutta la parabola dal Pci al Pd, ovvero durante il passaggio dalla sinistra autonoma alla ‘brodaglia’ genericamente democratica, è apparso singolare e significativo questo rapporto ‘infelice’ con la socialdemocrazia, spia principale di un’anarchia culturale dissimulata con i consueti metodi della propaganda mediatica e della democrazia ‘percettiva’. Probabilmente, non è affatto vero che l’attuale presidente del Consiglio sia politicamente equivalente a Silvio Berlusconi: sono le metodologie che si utilizzano per ‘tirare avanti’ a tutti i costi a essere esattamente le stesse. E a 70 anni dalla Liberazione dal fascismo, della sinistra italiana resta assai poco, oltre a qualche giornata di festeggiamento un po’ nostalgica e crepuscolare.
(23 aprile 2015)
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