di Aurelio Mancuso twitter@aureliomancuso
A che punto sono le unioni civili? La situazione è questa: votato il testo base proposto dalla relatrice Monica Cirinnà in Commissione Giustizia del Senato, fino al 7 maggio potranno essere depositati gli emendamenti. E’ facile prevedere che i campioni della libertà come Giovanardi e Malan, produrranno centinaia, se non migliaia di emendamenti intesi a inchiodare la legge per mesi. A quel punto bisognerà capire quale saranno le possibili soluzioni: se continuare a discutere in commissione o andare direttamente in aula. Ma prima di tutto questo bisogna esser chiari, il tema oggi è che per le unioni civili, così che per lo ius soli, tutto dipende se la maggioranza riuscirà a licenziare definitivamente l’Italicum.
Se per un caso la legge elettorale non venisse votata alla Camera (la discussione in Aula inizia lunedì) o cambiata, così che debba tornare al Senato, la stagione delle riforme civili, dopo l’approvazione del divorzio breve, sarebbe di fatto paralizzata. Non è inoltre da scartare la possibilità che si vada a una crisi di governo che porti in tempi non prevedibili a nuove elezioni politiche. Per queste ragioni le polemiche sull’Italicum riguardano anche noi, sia come cittadini italiani, sia come persone direttamente intente a ottenere, dopo decenni di inutile attesa, il primo passo verso la parità di diritti. In questo senso, nel pieno rispetto delle posizioni che ognuna e ognuno di noi ha nei confronti della legge elettorale, è indubbio che il ruolo delle minoranze Pd è decisivo. Personalmente penso che la collettività omosessuale italiana debba far capire a questa parte del partito democratico, che se la legislatura dovesse concludersi in modo drammatico, se il governo in altro modo dovesse indebolirsi e, quindi, per esempio, restringere il suo piano di azione alle norme urgenti su economia e finanza, si renderebbe responsabile di un nuovo tradimento del centro sinistra nei nostri confronti. Dobbiamo ricordarci che chi oggi è all’opposizione interna nel Pd, per la gran parte ha governato due decenni prima Margherita e Ds e poi il Pd, promettendo parecchio, ma mantenendo mai.
In tutte e tutti noi è rimasta impressa la vergognosa stagione del governo Prodi e le delusioni cui siamo andati incontro a causa dell’ignavia di una classe dirigente debole e incapace di assumersi le sue responsabilità. Quindi la volontà politica più volte espressa da Matteo Renzi di avviare appena approvato l’Italicum (e probabilmente dopo le elezioni regionali) la stagione delle riforme civili va verificata sul campo, ma allo stesso tempo bisogna richiamare le minoranze interne del Pd alla loro responsabilità: è politicamente compatibile che la richiesta (su cui non entro nel merito, pur avendo mie opinioni) di alcune non essenziali modifiche dell’Italicum, possa portare a un nuovo stop delle riforme civili?
Non è compito della collettività lgbt intromettersi nel dibattito interno dei partiti (io lo faccio perché dirigente del Pd, quindi in questo momento più “libero” di esprimere un discorso di verità), ma è indubbio che la delicata partita delle unioni civili si gioca su diversi piani: tanti gli amici, troppi gli avversari e, non indifferente il numero di amici che rischiano, perché concentrati su altre loro “priorità”, di far perdere l’occasione che il primo Parlamento, dopo decenni, a maggioranza laica, possa approvare le unioni civili.
Bersani, Cuperlo, Civati e tutti gli altri leader delle minoranze Pd, oltre che occuparsi di Italicum e riforme costituzionali, riflettano bene, perché anche da loro dipendono le unioni civili.
(23 aprile 2015)
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