di Ahmed Naouali
Una bambina tunisina chiedeva sul treno alla madre, con la quale stava viaggiando, “Ma cosa penseranno di noi quelli che vedono i musulmani che ammazzano la gente?”, una riflessione che fa rabbrividire ora che stiamo scrivendo di 150 persone morte ammazzate in Kenya, in uno college, molte di loro decapitate, per il fatto di essere cristiani, cioè di un’altra fede religiosa.
E’ il risultato dell’attacco di ieri dei terroristi somali di al-Shabaab, in un college nel nord-est del Kenya che è stato trasformato in un massacro insensato, brutale, che non gioverà alla causa della quale questi assassini di mestiere si fanno portatori.
Centocinquanta morti dicevamo, ai quali vanno a sommarsi 79 feriti ed altre 150 persone, tra studenti e professori di cui si sono perse le tracce. Una strage che porterebbe la firma, secondo le autorità keniane, di Mohamed Mohamud Kuno, alias Dulyadin e Gamadhere, un keniano ex operatore umanitario, ex direttore di una scuola teologica proprio nella città teatro del massacro del 2 aprile, e che si è unito in anni recenti agli islamisti assassini di al-Shebaab.
(3 aprile 2015)
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