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Ciò che mi rende furiosa, di Gisella Calabrese: Sposarsi con uno sconosciuto, l’ultima frontiera della tv

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Gisella Calabrese 03di Gisella Calabrese  twitter@giscal77

 

Parto da una premessa: sono una sognatrice e molto romantica. Pragmatica, ma romantica. So che potrebbe sembrare un ossimoro, ma non lo è, poiché ogni persona ha le sue caratteristiche, le sue passioni e il suo vissuto che hanno determinato ciò che siamo oggi. In fondo, siamo tutti complicati e abbiamo le nostre piccole stranezze che ci rendono speciali e particolari. Io amo i matrimoni. E’ una passione malsana, me ne rendo conto. Mi piace essere invitata ad un giorno di festa così allegro e sorridente. Mi piace un po’ meno tenere i miei piedini strizzati in un paio di scarpe alte, bellissime e scomode, ma per un giorno e per chi si vuol bene, si può senz’altro fare.

 

Proprio per questo, mi piacciono le trasmissioni sui matrimoni. Scoprire tutti i dettagli di una cerimonia, ritrovarmi a condividere dei ricordi con un’altra sposa, assistere alla scelta del vestito, dei fiori, della location… Per una coppia che si sposa i preparativi sono la parte più divertente e anche la più complessa, per far combaciare ciò che si desidera con la disponibilità economica, il ché a volte complica un pochino le cose. Nel bene o nel male ogni sposa riesce a realizzare il matrimonio che desidera e soprattutto, con la persona amata, nel romantico sogno di un amore che non finirà mai (per una volta voglio lasciare il cinismo a casa sua).

 

Dopo questa premessa, capirete bene il mio stupore nello scoprire una trasmissione che parla di matrimonio, ma non nel senso più frivolo del termine, ma quasi come un esperimento sociologico. Si chiama “Matrimonio a prima vista” e si tratta di otto single di ogni parte del mondo che accettano di sposare un perfetto sconosciuto per diventare così quattro coppie. La scelta del partner ideale, o almeno tale dovrebbe essere, è lasciata ad un team di esperti ovvero un padre spirituale, un sessuologo, uno psicologo e un sociologo. Tracciando i profili di otto persone che non stento a definire disperati patologici, creano dei veri e propri matrimoni combinati che vengono costantemente seguiti dalla telecamera e dai suddetti esperti.

 

Credevo – che ingenua! – che il matrimonio fosse una farsa, una sceneggiata per ricreare l’idea dell’unione sacra in sé, per poi seguire le coppie nelle loro dinamiche quotidiane e invece no, i matrimoni sono effettivi, reali ed assolutamente legali. Con tanto di famiglie degli sposi, cerimonia, ricevimento, invitati e persino la luna di miele.

 

Di certo deve essere un sollievo per le spose non doversi preoccupare di tutta l’organizzazione di un matrimonio, ancor meglio se tutto a spese della produzione televisiva, ma ritengo che questo sia davvero eccessivo. Senza contare che, oltre allo sposo a scatola chiusa, ti becchi pure una suocera altrettanto sconosciuta.

 

In sostanza, è un reality del matrimonio e della vita di coppia, con l’aggravante che i due sposi non si conoscono affatto e non si sono mai visti prima, se non il giorno delle nozze.

 

Trovo allucinante accettare di sposare qualcuno che è stato scelto da qualcun altro solo per la disperata voglia di essere parte di una coppia, di non svegliarsi soli al mattino, di rinnegare interminabili e noiosi appuntamenti al buio organizzati dagli amici, dai parenti o persino dai colleghi di lavoro, di non baciarsi sotto al vischio la notte di Capodanno. Capisco che per molte persone la solitudine amorosa possa essere vissuta come un terribile handicap, ma arrivare a sposarsi legalmente con uno sconosciuto che potrebbe non piacerci ha del patologico, ammettiamolo.

 

Quanto bisogna essere disperati per sposarsi in questo modo? E soprattutto, quanto devono sentirsi sole queste cavie da laboratorio che accettano di farsi seguire da una telecamera, parlando di tutto, anche di sesso, come se la vita intima e riservata di una coppia fosse invece di dominio pubblico?

 

I rapporti interpersonali, e soprattutto quelli di coppia, sono determinati da delicati equilibri, dinamiche talvolta contorte, complicate e assolutamente soggettive. Ci sono coppie che si sposano a pochi mesi dal loro primo incontro e vivono felici e contente tutta la vita e altre che altrettanto velocemente divorziano. Impossibile poter fare una stima e valutare – mi riferisco a questi sedicenti esperti – quali persone potrebbero formare una buona coppia, basandosi su elementi come i gusti alimentari, i film preferiti, la religione o il colore degli occhi.

 

Si dice – e lo posso confermare – che il primo anno di matrimonio è il più difficile, perché è quello in cui il single smette di essere tale e vivere solo pensando a sé e alle sue abitudini, e diventa parte della coppia, con nuovi equilibri, compromessi, abitudini e riti che entrano a far parte della propria quotidianità. Queste quattro coppie, invece, vengono seguite per i primi sei mesi, con tutte le complicazioni del caso che dovranno affrontare di volta in volta, nel disperato tentativo di farsi andar bene un perfetto sconosciuto che hanno sposato per solitudine, noia, stanchezza, depressione ma mai – e sottolinea MAI – per amore. Perché oggettivamente non si può amare qualcuno che non si conosce e di cui si ignora persino l’esistenza. Ciò che le coppie normali fanno nei primi mesi della loro relazione viene vissuto da questi sposi per caso dopo il matrimonio. Un mondo al contrario, insomma.

 

Sarò dura e pure ripetitiva, ma trovo patetico e molto triste questo modo di inquadrare l’umanità, come se fossimo tutti intercambiabili. Un po’ come la pratica di un contadino che unisce due semi differenti per creare un nuovo innesto: potrebbero ottenere una pianta bella, forte, rigogliosa, ma con le stesse probabilità potrebbe essere un fallimento completo. Probabilmente l’ennesimo fallimento di chi, dopo anni di vana ricerca della persona giusta con cui condividere la vita, si è lasciato convincere a tentare questo esperimento, quasi fosse l’ultima spiaggia. Mi restituisce l’idea di una persona “attaccata alla canna del gas”, senza più prospettive, senza ambizioni, senza dignità.

 

Chiamatemi pure retorica, ma non si può colmare il vuoto dentro di noi accontentandosi di vivere accanto a qualcuno che non abbiamo scelto. Gli altri dovrebbero amarci per quello che siamo, non per quello che vorremmo avere. Il bello, in certe relazioni, è proprio la libertà di scegliersi.

 

Di certo, l’unica consolazione di questi “sposi combinati” è che anche le spese di un eventuale divorzio sono a carico della produzione televisiva (e ci mancherebbe!). Insomma, un matrimonio celebrato e annullato interamente a spese altrui… sulla propria pelle, però!

 

Cordialmente vostra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(23 marzo 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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