di Il Capo
Berlusconista, reazionario, populista, omofobo: è il Carlo Conti della noia e delle reazioni scomposte e al limite dell’isterismo mascherato da tolleranza ridanciana – il peggiore – e del San Remo noioso che addormenta e non fa pensare, per questo lo guardano quasi tutti (il 50% dei televisori accessi su una simile schifezza la dice lunga sullo stato di prostrazione delle italiche menti), che un colpo qui e un colpo là è riuscito a mettere su uno spettacolo musicalmente indecoroso, culturalmente inesistente, che celebra solo l’ego dell’abbronzatissimo e fa felici le tasche Rai, Siae e degli autori delle canzoni (i diritti d’autore delle esibizioni sanremesi fanno felici).
Il resto è omofobia ed antipatia personale dell’insipido conduttore: da Conchita Würst chiamata Tom (un errore non solo umano, come molti hanno sottolineato, ma artistico, perché Conchita Würst è Conchita Würst sul palcoscenico e come tale va trattata), all’isterico “Grazie io sono innamorato, c’è mia moglie in sala!“, rivolto all’ospite Ed Sheeran che gli dedicava una canzone, come se la vita sessuale dell’unico bianco al mondo più nero dell’afroamericano Will Smith potesse interessare a qualcuno.
Una figura da mentecatto.
Questo è stato Carlo Conti: un trionfo di nulla, di luoghi comuni, di celebrazione dell’ignoranza, di nessuna cultura, di un presentatore attento ad accaparrarsi (il verbo è usato con proprietà) la prossima edizione, di populismo celebrato dalla vittoria di un trio improbabile di ventenni insulsi – nella lirica c’è una battuta riferita alle “teste da tenore”: appunto – simpatici come un herpes genitale e probabilmente altrettanto difficili da togliersi dai piedi. La loro canzone era l’unica che poteva vincere, gorgheggi da galline incinte, melodia su tre accordi sentiti almeno trecento altre volte, una terza, una quinta, faccine sorridenti in stile selfie per Facebook e via andare.
Ciliegina sulla torta il Conti politico [sic!] che incontra le famiglie dell’Ilva e promette un messaggio tivù: “Nel mio piccolo anche io faccio la mia parte”. Quale parte, scusi? Tutto preceduto dall’intervento di Giorgio Panariello, gradevole come il mal di pancia improvviso che non ti lascia scampo e non c’è una toilette nel giro di venti chilometri quando lo incontri in giro per Roma (purtroppo mi capita spesso, ha sempre la bocca tesa come se si aspettasse un attentato da un momento all’altro, tutto una simpatia, con il suo cagnolino tra le braccia), efficacissimo sul palcoscenico dell’Ariston a celebrare loro (il Conti ed il Panariello) che sono amici da trent’anni. Se non è berlusconismo questo…
(15 febbraio 2015)
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