di Paolo M. Minciotti
Era stata la giornalista televisiva Mona Iraqi, fustigatrice della morale pubblica e volto notissimo della tv egiziana a scatenare la caccia al gay in un Hammam de Il Cairo, presenziando addirittura al multiplo arresto di 50 persone, riprendendo e fotografando la scena con il suo telefonino per poi postare tutto sulla sua pagina Facebook.
La signora deve essere rimasta maluccio quando il processo si è concluso con un’assoluzione per tutti gli imputati. La sua pruderie, la sua cattiveria, il suo voler far carriera sulla pelle degli altri, ne è uscita male: soprattutto perché – al pari di qualsiasi moralista – la giornalista [sic] cercava “untori” da additare all’opinione pubblica nell’ambito di un’inchiesta sulla diffusione dell’Hiv nel paese.
Gli uomini erano stati tutti sottoposti ad ispezione anale per verificarne l’omosessualità [sic] e visti i risultati negativi per tutti, il tribunale ha dovuto assolverli da un’accusa infamante formulata da una donna da due soldi la cui ambizione va molto più in là della sua intelligenza e umanità.
Come riportavamo nel nostro articolo del 9 dicembre scorso, tutti erano stati arrestati con l’accusa di “perversione”, non esistendo nel codice penale egiziano, il reato di “omosessualità” e la giornalista Mona Iraqi, senza macchia e senza peccato, aveva postato le foto dell’arresto di massa sulla sua pagina Facebook tacciando l’accaduto di “abnormalità” nel centro del Cairo e di “perversione collettiva”, aggiungendo poi che gli uomini erano stati sorpresi dalla polizia mentre facevano “sesso di gruppo”.
L’invidia è davvero una brutta bestia.
(12 gennaio 2015)
©gaiaitalia.com 2015 – diritti riservati, riproduzione vietata