di Rosario Coco twitter@RosarioCoco
Nel grande affannarsi di sintesi, discorsi e carrellate di eventi sull’anno passato mi ha colpito, sembrerà strano, un passaggio della regina Elisabetta. La sovrana del Regno Unito ha fatto riferimento ad un episodio poco conosciuto della prima guerra mondiale, chiamato Christmas Truce, o tregua di Natale, in cui soldati tedeschi e inglesi lungo ampie aree del fronte smisero spontaneamente di combattere nei giorni natalizi, attraversarono le trincee e si scambiarono auguri, cibi e doni improvvisati.
Ricordo che la prima volta che ne sentii parlare nel corso dei miei studi non ci volevo credere. Tuttavia, facendo una breve ricerca in rete, si trovano persino foto (come vedete) di partite di calcio improvvisate tra gli opposti schieramenti.
Dal 1914 di strada ne abbiamo fatta. La fine degli imperi, l’avvento delle democrazie, la triste esperienza dei totalitarismi, la dichiarazione universale dei diritti umani e le numerose carte che ad essa si sono succedute.
Non ci sono dubbi, insomma, che il pensiero e la filosofia morale che garantiscono (o dovrebbero garantire) certi diritti abbiano fatto dei progressi.
Tuttavia, quando ho ascoltato questo passaggio, mi sono venute in mente non solo le guerre dei giorni nostri, che per forza di cose sono molto diverse, ma molto più semplicemente un certo nostro modo di essere. Non vorrei scadere in banali generalizzazioni, ma faccio fatica ad immaginare due sconosciuti che si scambiano gli auguri di Natale per strada, figuriamoci due soldati in trincea.Va detto che quell’episodio segna la fine di un’epoca, è un po’ la porta attraverso la quale ci si lascia alle spalle il “secolo lungo” di Hobsbown, quell’800 dei grandi imperi e delle guerre lampo, per addentrarsi nel “secolo breve” caratterizzato dalla guerra totale e dalla fine di moltissime regole non scritte che avevano caratterizzato anche un “etica” militare. La stessa guerra di trincea, in tutta la sua drammaticità, era una novità nel 1914.
Che si celebri il Dio sole o la nascita di Gesù Cristo, o che non si celebri nulla del genere fuorchè un semplice momento di intimità e raccoglimento con i propri cari, poco importa. Poco dopo avere letto il passaggio della regina, mia madre è rientrata in casa dalla pasticceria un po’ contrariata. Era entrata dicendo “auguri a tutti” ma nessuno le aveva risposto. Ritornando poco dopo a ritirare quanto ordinato lo aveva detto più forte: “auguri a tutti!”. Aveva risposto solo la commessa. Sicchè un po’ stizzita era andata via dicendo alle 6-7 persone presenti: “buon anno, gli auguri si fanno!”. La prima cosa che le ho detto è stata: “mamma ma cosa ti aspetti?”. Poi riflettendo ho pensato che in effetti aveva chiesto molto, molto meno che la luna.
Forse basterebbe andare in Paese per vedere qualcosa di diverso. A Pedara, sul versante sud dell’Etna a 600 metri sul mare, si può dire che ogni strada è un pianerottolo e il Paese è un gran condominio. I mille lati negativi di queste realtà, con quel florido e avvolgente spettegolare che a volte toglie il respiro, sono arcinoti. Forse però si perdono troppo spesso di vista alcuni piccoli aspetti positivi.
Durante queste feste ho ascoltato di sfuggita alla radio un programma in cui parlavano di un sondaggio fatto negli anni 80 e ripetuto con gli stessi criteri oggi. Quasi 30 anni fa gli intervistati dichiaravano di avere mediamente 4 veri amici, oggi la media scende a 2. Si può dire la qualunque sull’affidabilità di certe indagini, ma, opinione del tutto personale, questo sondaggio coglie nel segno.
Che cosa abbiamo perso in questi 100 anni allora, oltre ad aver guadagnato diritti, tecnologia e benessere? Cosa manca a quello che per un obbligato schema di sintesi siamo costretti a definire come “occidente” ma che forse inizia a mancare anche alle altre grandi aree culturali del globo?
Si potrebbe dire rispetto, umanità, sensibilità, concretezza… Sarebbe semplicistico concludere semplicemente dicendo siamo tutti un po’ più “acidi” e solitari? Perchè?
Forse quello che ci manca davvero è un po’ di tempo, insieme alla capacità di sapercelo prendere e tenercelo stretto. Un po’ di tempo per noi, infatti.
Ed è quello che voglio augurare a tutte e tutti per questo 2015.
(3 gennaio 2015)
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