di La Karl du Pigné twitter@lakarldupigne
A me il Natale non piace. Per niente. Da sempre. Mi ricordo che da bambina, quando tutti aspettavano di riunirsi in famiglia per le cene natalizie, i pranzi natalizi, gli incontri fra zie, zii e cugini vari per giocare a carte o per “sparare i botti” a fine anno, io me ne stavo il più possibile defilata, magari guardando la televisione (ma anche lì una fatica, solo film con Babbo Natale, La vita è meravigliosa, se ti andava bene qualche cartone animato della Disney con tante cattive e una buona, in genere la più cessa e insulsa che alla fine faceva asso piglia tutto e si sposava il principe).
Ci si ritrovava, seduti attorno a una tavola, imbandita come non mai, piena di roba che non mangiavo. Non mi piacciono in questo rigorosissimo ordine il panettone, il panforte, i torroni. La sola idea di ingurgitare uvetta e canditi mi fa sentire male e per anni ho lottato per avere almeno un pandoro dentro casa. Mi dicevano che ero proprio strana, chissà di chi avevo preso. Avevano ragione. Non mi piace la stagione invernale, il freddo, le slitte, Babbo Natale con le sue renne, la Befana, il carbone e tutti i melassosissimi dolci di questo periodo. Non mi piace fare alberi pieni di palle e presepi irrispettosi delle proporzioni: in genere il bambinello è grande quanto bue e asinello e la stalla è più piccola dei re magi. E siccome a dicembre, anche quando ero piccola io, arrivava il doppio stipendio, tutti a spendere.
Il termine shopping è arrivato un più avanti, ma anche allora, forse ancora più di oggi, partiva la corsa ai regali, per arraffarsi il chilo di tortellini fatti a mano nel negozio di qualità che senza di quelli il pranzo di Natale non avrebbe avuto senso, quando naturalmente non si facevano in casa e quindi sveglia alle sei di mattina per brodi, sughi, spianate di pasta sfoglia per 18 persone, cesti di mandarini che si mangiavano a casa mia solo tre giorni l’anno, e i crostini toscani e la carne e gli antipasti e i dolci. Un delirio di calorie e io, quella strana, che arriva ai tortellini già satolla. Non mi piacevano allora e men che mai adesso tutte le luminarie in giro per la città, i tappetini rossi sui marciapiedi e gli addobbi natalizi con le pigne che trovo orrendi. Quando ho potuto sono partita e rientrata alla fine delle feste, abbronzata tanto quanto le signore bene che avevano fatto il Capodanno a Cortina e avevano beccato giornate piene di sole e tra una cavialata e l’altra si erano pure abbronzate. Solo il viso. Una roba di classe.
Io cercavo posti “esotici”, non per moda, ma perché scappavo verso il caldo. E per me era esotica pure Djerba, con 27 gradi. Quando racconto di questa mia idiosincrasia per le feste natalizie arriva sempre la cara amica di turno o il conoscente, con il quale incidentalmente parlo di questo, che tirano fuori quasi immediatamente, in maniera velata o meno, un parallelismo quasi automatico fra “non ti piacciono le feste natalizie” a un “trauma familiare infantile”. Siccome le feste natalizie sono normalmente passate in famiglia, non a caso tutti dicono “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”, sembra automatico pensare che chi non ama le feste decembrine, dall’Immacolata in poi, ha per forza un passato disperato di famiglia inappropriata, di padri e madri separati, di non poter festeggiare il Natale perchè orfano e via discorrendo. Io ho avuto una vita mediamente felice, da bambina ero curata (abbiate pazienza, continuo a usare il femminile), la mia era una famiglia sputatamente nella norma. Non avevo un padre alcolizzato, una madre non-madre, fratelli delinquenti, sorelle psicopatiche. Andavo a scuola, ero brava, a casa erano contenti di me. Poi naturalmente incominciavo ad avere gli ormoni un pochino sballati, mi piacevano i compagni di classe e le femmine no, ma non credo che questo abbia potuto avere a che fare con il Natale.
Nemmeno negli anni di psicoterapia che mi sono concessa è mai uscito un collegamento. Inoltre i gay sono in genere molto legati alle feste, non per le feste in sé ma per il godimento sfrenato con il quale si buttano come delle pazze nelle strade dello shopping piene di luminarie e di oggetti completamente inutili che comprano solo ed esclusivamente per avere quelle deliziose shopping bags griffate con le quali trotterellano come se fossero delle novelle Raffella Fico in giro per il centro. Anche quest’anno un giro me lo sono fatto, in centro. Molta gente, molti gay, molte sorelle del corso di andatura “modella su tacco alto” ma veramente poche, pochissime shopping bags. Anzi, a dire il vero, penso che alcune di quelle borse che ho visto in giro fossero riciclaggio degli anni scorsi. Una vera e propia disdetta.
Il prossimo anno perderò lo scettro della sempiterna odiatrice del Natale, incominciano ad affacciarsi le nuove sculettanti concorrenti. Mi consolo pensando che se continua così a Pasqua farà freddo e potrò straparlare di colombe e uova di cioccolato con la stessa veemenza con la quale affronto l’ultima decade dell’anno. Naturalmente di farvi gli auguri nemmeno se ne parla. A gennaio, se non siete deflagrati a causa delle troppe lenticchie.
(15 dicembre 2014)
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