di Gianfranco Maccaferri twitter@gfm1803
Ruwan è chiamato dagli amici “the black man”, è il più nero di tutti i ragazzi del villaggio; ha un fisico longilineo ma muscoloso, sa salire su un’altissima palma da cocco in pochi secondi: prima si lega tra le due caviglie uno straccio che gli permette di avere maggiore aderenza al fusto sottile e poi, a balzi, sale fino in cima, da lassù allunga le braccia e raccoglie i frutti. Ogni volta che lui ed io abbiamo sete o ci sentiamo stanchi fa questa acrobazia. Poi buchiamo uno degli estremi del cocco e il liquido trasparente che beviamo ci disseta e ci fornisce energie per ore.
Tra gli abitanti del villaggio si possono trovare i colori della pelle dal rosa al nero, ma ciò che stupisce sono alcuni adulti che portano sulla pelle del viso sfumature tra il blu e il verde. I tratti somatici dei ragazzi sono un miscuglio che difficilmente si riscontra in altri paesi perché di qui, nei diversi secoli, sono passati e si sono fermati a colonizzare i portoghesi, gli olandesi, gli inglesi, mentre gli africani approdarono dalle navi negriere ammutinate, dall’India i Tamil arrivarono chiamati dagli inglesi come forza lavoro.
Ruwan ha 28 anni ma ne dimostra molti meno, è di famiglia povera e per avventura si è trasferito un periodo in città, ha fatto il manovratore di gru al porto mercantile, ma il caos provocato da tanta gente frenetica e i rumori assordanti e continui lo escludevano, mai ha percepito di far parte di quella comunità e l’unico senso che dava alla sua permanenza in città era lo stipendio; così dopo qualche mese è tornato al suo villaggio perché gli mancava la giungla, il viverci dentro.
Il villaggio di Ruwan è povero per infrastrutture, per salari, per tecnologia, ma la cortesia, il sorriso, la generosità sono un bene comune, una ricchezza della quale gli abitanti sono consapevoli.
È un villaggio che vive di riso, di verdure, di legumi, di frutta, a volte del pesce pescato in uno dei tanti laghi vicini. Un villaggio dove con dispiacere si uccide una gallina per nutrirsene.
La caccia è un male: un egoismo umano a scapito di un animale che vive libero.
Ruwan mi ha portato, camminando per alcune ore senza sentiero e a piedi scalzi, in una porzione di giungla considerata sacra, abitata solo da quattro monaci buddisti. Tutto è perfetto, lui è perfetto in questa natura esagerata… Ruwan ha scelto questo luogo magico per meditare insieme, per ritrovare un equilibrio che entrambi sentivamo minacciato; i monaci, senza quasi mai rivolgerci la parola, hanno accettato la nostra presenza e hanno condiviso spazi, cibo, silenzi.
In queste giornate senza tempo, Ruwan mi ha insegnato a nutrirmi dei frutti e delle erbe disponibili, con atteggiamento vigile mi ha spiegato come riconoscere i serpenti, abbiamo ascoltato i suoni, mi ha insegnato a identificarne alcuni. Nella giungla non c’è mai un vero silenzio.
Ho scoperto che nella giungla si può vivere a lungo ed essere sereni, spesso anche felici.
La giungla può dare tutto ciò di cui necessiti, basta saperlo riconoscere e raccoglierlo.
Un mattino si è deciso di riprendere a condividere la nostra vita con gli altri ragazzi del villaggio. Camminando Ruwan vede tra i cespugli una lunga piuma di aquila pescatrice, la raccoglie e me la regala con un sorriso: “In questo posto non puoi comprare un souvenir da portare a casa, conserva questa piuma e la giungla sarà sempre con te”.
Un villaggio povero, al confine con la giungla, senza stagioni, senza variazioni di clima, solo i monsoni dettano il tempo annuale, un villaggio dove la natura è esagerata nelle sue forme vegetali, dove nessuna carestia ha inflitto drammi alla popolazione.
Un villaggio povero ma molto simile al paradiso terrestre descritto dalle religioni monoteiste, epiche antiche nate dai sogni di chi abitava in terre aride.
Rientrati al villaggio gli amici di Ruwan hanno organizzato una serata dedicata al nostro ritorno.
Ci ritroviamo così in una ventina di persone nel giardino di una casa isolata, vicino ad un lago e tutto intorno solo vegetazione; io ho dato qualche soldo per la spesa e la festa inizia con Ruwan che suona il bongo e a turno dei ragazzi cantano. Vedendo Ruwan suonare capisco come certi suoni e ritmi sono espressione della sua vita. Ruwan mi guarda, ride, anche lui inizia a cantare. Alcune delle ragazze del villaggio sono venute e si sono sedute normalmente insieme ai ragazzi, si divertono a chiacchierare e a cantare. Ma l’atmosfera è strana, percepisco che i maschietti non si lasciano andare come altre volte li ho visto fare e sul tavolo sono apparsi solo anacardi e bibite. So che la spesa comprende ben altro.
Stranamente nessuno balla.
Eppure è il giorno della luna piena, una festa molto importante che tutti i mesi coinvolge l’intera popolazione, ma anche se i ragazzi per questa serata hanno preferito un ambiente più riservato e appartato, il ballo è sempre una componente essenziale della festa, ma qui nessuno balla.
Per rispetto verso tutti gli abitanti, durante l’anno si festeggiano le principali festività buddiste, induiste, musulmane, cristiane; tutte religioni che coabitano pacificamente nel villaggio ma che conservano una propria autonomia di cultura, di riti e anche di antagonismo nell’approccio al potere centrale, che è lontano; religioni che s’intersecano tra loro nella vita quotidiana, nelle amicizie e nei pregiudizi.
È Ruwan a decidere! Con una semplice frase chiede alle donne di tornare a casa, di lasciarci soli.
In dieci minuti l’atmosfera si trasforma: sul tavolo appaiono le bottiglie di Arrak, le ciotole con fiori di banano cotti, lenticchie con peperoncino, verdure preparate con spezie e aromi forti: questi sono i componenti dell’aperitivo nelle feste tra uomini, un aperitivo che terminerà solo quando le bottiglie del superalcolico saranno vuote.
Il ritmo della musica cambia, alcuni ragazzi iniziano a danzare con evidenti provocazioni erotiche e a volteggiare su se stessi o a mimare il testo delle canzoni sempre più esasperate.
Ruwan, passato lo strumento musicale ad un amico, si siede accanto a me.
Solo così, senza le donne, per questi ragazzi la sincerità ha il suo spazio.
Ruwan a voce alta e senza alcuna inibizione mi spiega che davanti alle donne i ragazzi non bevono alcool, non fumano, non si esibiscono in danze erotiche, non fanno battute con riferimenti sessuali, …non si divertono!
In questa situazione di festa al maschile riesco a capire come sono composte alcune coppie tra i ragazzi, amicizie amorose che spesso nascono nell’adolescenza e durano tutta la vita.
Un ragazzo può fare sesso con tutte le donne che vuole se ne ha l’opportunità o solo con la moglie, questo al suo amico del cuore non interessa, ma non può tradirlo con un altro ragazzo!
Un amore esclusivo che comprende una gelosia talmente esasperata che può portare all’omicidio.
Certo, non tutti i ragazzi portano questa amicizia esclusiva a diventare amorosa, ma l’esclusività e la componente di gelosia nel rapporto tra i due amici esistono comunque.
Mi sono accorto che con il giungere della notte, a turno, i ragazzi fanno un giro introno alla zona in cui si svolge la festa con delle fiaccole di legno per tenere lontani gli elefanti selvatici.
Chiedo a Ruwan di tradurmi il significato di alcune canzoni: nessuna è un tormentone radiofonico, ma sono testi tradizionali e la maggior parte sono dedicate alla mamma:
la mamma che ha regalato a suo figlio tutte le energie che il corpo di una donna può dare;
la mamma che consiglia al suo amato figlio quale sarà la futura sposa;
la mamma che quando muore provoca un dolore che non ha eguali …neppure per la morte di un figlio si soffre come per il decesso della mamma!
Questa popolazione ha la percentuale più alta al mondo di suicidi al femminile!
L’Arrak, che è un distillato simile al rhum, fornisce le disinibizioni sufficienti per racconti, risate, abbracci, occhiate fulminanti, litigate, barzellette, competizioni dedicate alla forma fisica, cadute dalle sedie, sogni…
Un po’ nebulosamente mi soffermo a guardare un uomo che ride, che cerca di integrarsi nel gruppo di ragazzi ma nessuno gli siede vicino, so di averlo già visto al villaggio ma non riesco a ricordare perché lo conosco, così chiedo a Ruwan. Scopro che è il responsabile delle forze dell’ordine del villaggio e si è autoinvitato alla festa, nessuno lo vuole, è una persona cattiva, ricatta i ragazzi giovani che commettono qualche infrazione cercando di estorcere loro prestazioni sessuali …i ragazzi lo detestano.
Decido di intervenire e l’Arrak abbondantemente bevuto mi aiuta nella sfrontatezza, così mi avvicino al poliziotto in borghese e gli chiedo se può lasciare la festa in quanto non invitato e, visto che la festa è dedicata a Ruwan e a me, lui non è il benvenuto.
Il suo sguardo è di sfida, la musica si ferma, i ragazzi rimangono in silenzio, la provocazione prende forma quando lui si toglie la camicia ridendo e mi chiede di combattere.
Decido di andare pesante nell’umiliarlo e così gli faccio notare che io uso le parole e non la forza fisica per avere ragione, per cui domani, quando vedrò il presidente della provincia nord-centrale, che il poliziotto sa essere mio amico, gli racconterò tutti i ricatti e le schifezze che lui attua nei confronti dei ragazzi del villaggio. A questo punto il poliziotto abbassa lo sguardo, si ferma per qualche secondo, poi raccoglie la camicia sul prato, prende dal tavolo una delle bottiglie di Arrak non ancora vuota e se ne va in silenzio.
I ragazzi attendono che lui si allontani e poi scoppiano in risate, applausi, tutti mi si avvicinano per congratularsi… vedo gli occhi di Ruwan feroci.
Allora allontano i ragazzi da me dicendo che ho una sorpresa per la festa: dallo zaino tiro fuori altre tre bottiglie, ma questa volta di whisky americano e così la festa può riprendere gioiosa e io posso risedermi accanto a Ruwan …Lo guardo, mi sorride con approvazione. Ruwan si alza e mi prende per la cintura dei pantaloni, mi trascina di qualche metro per avere lo spazio utile per ballare da soli, mi fa capire a modo suo che non tutti i momenti di felicità si devono condividere con gli amici, ma sicuramente è anche un messaggio forte di esclusività che lancia agli altri ragazzi.
Svuotate anche le bottiglie di whisky entriamo in casa per la cena: una grande ciotola con il riso e ciotole più piccole con diversi tipi di verdure e legumi; da bere solo acqua.
Il dopo cena, brevissimo, è dedicato ai saluti e a capire chi è in grado di camminare per tornare a casa e chi necessita di aiuto.
Ruwan, impugnato un bastone sufficientemente lungo per farne una fiaccola, mi dice di seguirlo da vicino perché di notte il camminare fuori dalle strade del villaggio è pericoloso per i tanti animali che con il buio cacciano.
Il sentiero da fare a piedi è lungo, mi rendo conto che non sempre è retta la linea del mio camminare. Ruwan invece è totalmente dedicato al percepire tutto ciò che succede intorno: riconosce i rumori di spostamenti celati dalla notte e ad ogni piccolo suono che rileva e identifica, mi dice il nome dell’animale che è vicino a noi. La fiducia che ho in Ruwan è totale.
Mi chiede di fare rumore, di battere le mani, di cantare o perlomeno di parlare, così da spaventare i serpenti che in quel tratto di sentiero sono numerosi. Senza pensarci troppo, gli chiedo perché è diventato mio amico, perché io …io che non gli posso dare nulla a confronto di quanto lui da e fa per me. “Semplice, sei tu che hai scelto me! Tra tutti i ragazzi del villaggio, potevi diventare amico di chiunque e invece hai scelto me …è una cosa talmente grande che a volte, alla sera, piango dalla felicità.”
Decido che è meglio fare rumore battendo le mani invece di parlare!
Quando arriviamo davanti al cortile della sua casa, ai bordi di un altro lago, mi accorgo che Ruwan mi sta guardando serio “Adesso tu vieni a dormire in camera mia perché devo dirti una cosa molto importante”. Non avendo scelta, anche perché non oserei mai di notte fare dieci metri del sentiero da solo, entro in casa. All’ingresso noto il padre di Ruwan dormire sul pavimento per godere del fresco delle piastrelle; entriamo in camera e Ruwan chiude la porta e continua ad essere severo: “Domani mattina, quando vedi il presidente della provincia nord-centrale, gli racconti come si comporta quel poliziotto qui al villaggio, lo hai promesso ai ragazzi!” Giustamente, domani non ho alternative, dovrò adempiere alla promessa fatta. Ruwan sorride e mi abbraccia “Ecco cosa tu fai per me e per i ragazzi del villaggio!”
Con calma e molto lentamente Ruwan si toglie la maglietta, si avvicina fino ad aderirmi, mi guarda negli occhi e sussurra:
“Io non verrò mai a casa tua, non vedrò mai la tua camera, non conoscerò mai i tuoi amici. Sono curioso della tua vita, ma non lo farò. Io voglio abitare qui, io so che in questo villaggio sono sereno, molte volte anche felice, come questa sera, come adesso. Non ha senso per me andare lontano! C’è spazio anche per te se vuoi, in questo mio paradiso …rimani?”
Gli sorrido, non rispondo. Con la luce della luna piena che entra dalla finestra guardo la sua camera, è spartana, pulita, è ordinata in quanto spoglia da suppellettili: solo un letto, una cassapanca, una sedia.
Ruwan si allontana, accende dell’incenso, poi si volta e mi sorride; sempre guardandomi si sfila il suo sarong di seta, lo apre e lo stende per terra vicino a me, ci si sdraia sopra e fa il gesto di baciarmi i piedi:
“Ayubowan nel mio paradiso. Con il tuo cuore, vuoi essere il mio amico?”.
L’omosessualità è un reato che prevede una pena detentiva tra i due e i dieci anni.
Nessuno in questo villaggio ne ha mai chiesto l’applicazione!
Molti paesi del Commonwealth hanno ereditato leggi dell’età vittoriana che si riferiscono ai codici britannici dell’epoca. La Gran Bretagna ha depenalizzato l’omosessualità nel 1967, ma il divieto è rimasto nei codici di tutta una serie di stati che hanno ereditato il sistema giuridico inglese. Il 60% dei paesi dove l’omosessualità è considerata un reato hanno sistemi derivati dal modello britannico.
Ayubowan è il massimo livello di benvenuto che la lingua sinhala contempla.
Il sarong è un largo pezzo di cotone o seta, viene indossato come una gonna dagli uomini.
(20 luglio 2014)
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