di La Karl du Pigné
Voi ve lo siete chiesto? Io si, e spesso. E non sono mai riuscita a darmi una risposta unica e assoluta. Ma è chiaro che una risposta così non esiste, altrimenti non penseremmo alla nostra comunità come a un movimento fluido e in evoluzione. Io penso di essere parte di questa comunità, sento di condividerne obiettivi e rivendicazioni. Ma questo non è sufficiente, almeno per me. Da quando partecipo alla vita di questa comunità ho visto tanti Pride, tante manifestazioni, ho visto i cambiamenti della società ed è innegabile che la questione omosessuale e trans abbia fatto passi in positivo. Ma non così tanti come io e tanti altri si sarebbero aspettati. Quindi, cos’è che ci impedisce di arrivare a quegli obbiettivi che altrove sono stati già da tempo raggiunti?
E inoltre, me lo chiedo già da tempo, è possibile che l’affermazione di gay, lesbiche e trans e il nostro continuo richiamo all’uguaglianza possa passare solo attraverso le legittime richieste di matrimonio e adozioni? Oppure attraverso una scandalosa comunicazione di stampo vittimistico che sciorina la conta delle aggressioni e dei morti ammazzati, con il solo risultato di farci percepire come un gruppo di disgraziate vittime del mondo e spesso più squallidamente col fine di apparire con nome e cognome sulla stampa. O continuiamo a dirci che è colpa del Vaticano oggi, o dei cattolici oltranzisti domani.
Non che queste cose non esistano, ma forse un bell’esame di coscienza non ci farebbe male. Io non voglio né sposarmi ne adottare figli e non voglio nemmeno che le persone intorno a me mi vedano come una vittima. Voglio invece determinare la mia vita, voglio esprimere le mie scelte in libertà, voglio pensare che nel mio mondo un gay sposato e con figli (adottati o meno che siano) non valga più di uno single e ho paura invece che questo sia quello che potrebbe succedere. Nella nostra comunità, così varia e ricca di sfumature , la garanzia di accoglienza e di condivisione dovrebbe essere universale e continuo a immaginarmi un mondo di orsi virili, checche impazzite, gay settantenni felici, travestite alle prime armi e drag queen attempate e accanto due mamme lesbiche con i loro figli, i miei amici Marco e Giovanni che si sono sposati in Belgio e che adesso si sbatteranno per avere la registrazione del loro matrimonio qui in Italia, e la mia amica trans Liliana che si è operata e fra un mese si sposa con il suo uomo, e tutti gli amici etero che sono con noi in questo cammino quotidiano dove veramente siamo tutti uguali e diversi, senza nessuna classifica di merito.
Quel mondo lo vedo così dalla posizione privilegiata del carro di apertura del Roma Pride, ogni anno, e penso che io il Pride vorrei che fosse tutti i giorni. Resta solo un interrogativo, che è quello iniziale: movimento, ma ndo hawai? Fatta la domanda, ad oggi io non ho una risposta. Quello che posso regalarmi, ma che resta confinato nel mondo dei desideri, sono quelle 5 ore di caldo abbraccio con tutte e tutti, delle quali mi eviterei solo l’antipaticissima presenza di alcuni sciacalli del movimento e dei loro camerlenghi dell’informazione che come starlettes di quart’ordine si affannano per contendersi la migliore posizione per una foto.
E’ il mese dei Pride, andateci e assaporate tutte e tutti la spezia. Non ne potrete fare più a meno, per tutti i giorni dell’anno.
(2 giugno 2014)
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