di Aurelio Mancuso twitter@aureliomancuso
Nella rappresentazione mediatica degli ultimi anni, grazie anche all’enorme lavoro sociale svolto dalle associazioni, è ampia la testimonianza delle coppie gay e lesbiche, in molti casi che hanno deciso si sposarsi o unirsi civilmente all’estero, poiché in Italia è per ora impossibile. Molta attenzione i giornali prestano alle coppie omosessuali con figli, fenomeno emerso nell’ultimo decennio e, che alimenta il dibattito sulla capacità genitoriale dei gay.
Sappiamo che il tema del riconoscimento giuridico delle coppie gay è centrale affinché l’intera popolazione omosessuale possa fuoriuscire dall’inconsistenza sociale, per cui è chiaro che la collettività lgbt punti la gran parte delle proprie energie per ottenere questo risultato.
Ben più importante delle tutele contro i crimini d’odio ai danni di gay, lesbiche, trans, (di cui si attende che il Parlamento italiano si pronunci in via definitiva) il sistema di diritti e di doveri da ottenere per la vita di coppia è il vero grimaldello per scardinare millenni di discriminazioni e soprusi, rendendo finalmente serena la quotidianità di migliaia di progetti di vita. La spinta culturale di costruire rapporti stabili e di convivenza, è un fatto relativamente recente, tanto da dover ricordare che fino ai primi anni ’90 questa scelta era infrequente, e questo era determinato anche da una diffusa preoccupazione di mantenere il proprio orientamento sessuale nascosto, represso a causa di una pressione sociale che ha spinto milioni di omosessuali a sposarsi con un partner del sesso opposto.
La realtà è talmente mutata che è percepibile soprattutto tra le giovani e giovanissime generazioni una diffusa aspirazione al rapporto stabile e possibilmente duraturo, ben più marcata rispetto ai giovani eterosessuali. La battuta che circola “mentre gli etero scappano dal matrimonio, gli unici a volerlo sono i gay” è un po’ rozza, ma sintetizza bene una realtà, che nasce dalla necessità per gli omosessuali di ottenere il matrimonio egualitario come chiaro strumento di parità.
Personalmente, provenendo da una generazione assai differente, continuo a pensare che il matrimonio, come istituzione, sia il prodotto della storia patriarcale, di sottomissione delle donne a costrizioni e regole pensate dai maschi. Naturalmente il matrimonio ha subito enormi modificazioni, e attraverso la riforma del diritto di famiglia e della legge sul divorzio si è trasformato, diventando un istituto quasi paritario, anche se ancora troppo rigido, da cui è difficile fuoriuscire, e su cui pesano eccessive commistioni e ambiguità a causa dell’ignoranza della gran parte delle coppie sulle non indifferenti differenze tra matrimonio civile e quello concordatario.
In questo Paese dove le riforme civili sono da decenni congelate, sarebbe necessario approvare il divorzio breve, mettere mano al diritto di famiglia ormai vecchio di quarant’anni, articolare istituti giuridici differenti da quello matrimoniale. In questo senso devo ammettere, che essendo stato il primo presidente Arcigay ad aver posto come centrale la battaglia per il matrimonio egualitario, mi piacerebbe molto poter scegliere (così come giustamente rivendica la piattaforma del movimento lgbt) se sposarmi o unirmi civilmente e, probabilmente sceglierei la seconda opzione.
Perché ritengo il mio progetto di vita inferiore al matrimonio? No perché penso che il matrimonio egualitario sia un istituto cui tutte e tutti dobbiamo poter accedere, ma non esservi costretti. Un patto di unione civile, dove poter anche scegliere tra i diritti e doveri da mettere in comune è la soluzione che mi piace di più, che ritengo più moderna e scardinante di una consuetudine millenaria, anche più chiara dal punto di vista ideologico rispetto alle incrostazioni valoriali di cui si è appropriata la chiesa cattolica.
Per usare un ardito parallelismo valuto come assurda la richiesta che vaga ogni tanto tra i gay cattolici di potersi sposare in chiesa. Se si fosse davvero cattolici liberi e coscienti, ci si dovrebbe tener lontani da riti che provengono dall’affermazione temporale della chiesa e non dalla sua missione spirituale, per cui è assolutamente sufficiente e coerente una semplice benedizione della coppia.
So che sollevo questioni delicate, su cui si scontrano a volte tifoserie, che come tali prediligono gli slogan e non la riflessione, ma la nostra giusta battaglia per ottenere il matrimonio egualitario, non deve farci mai dimenticare che gli/le omosessuali non sono per fortuna tutt* uguali, che ognuno di noi sperimenta la conquista di non esser più clandestina/o in diverse forme e rapporti interpersonali.
La richiesta di assoluta parità all’accesso degli stessi diritti e doveri, interpretata dal matrimonio per tutt*, ha più forza se sappiamo, esser sinceri nel proporre una riforma complessiva dell’istituto coniugale.
©aurelio mancuso 2014 ©gaiaitalia.com 2014 diritti riservati riproduzione vietata
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