di Il Capo
E’ complicato raccontare una cosa così, ma lo voglio fare. Autobus. Non ho mai voluto possedere un’automobile, e non cambierò idea certo ora. Salgo. Alla fermata successiva salgono due ragazzi, una ventina d’anni a testa. Gridano come galline e sono incuranti di ciò che provocano attorno a loro. Pestano piedi. Sgomitano. Spingono. E’ una show. Insopportabile ed ingiustificato.
Alla seconda sgomitata chiedo gentilmente ad uno dei due di rendersi conto di non essere solo e che, dato lo spazio vitale ristretto, dovrebbe stare attento a dove mette i gomiti. E i piedi. Sorridendo. A mo’ di battuta. Non creo tensioni gratis. Non mi piace. Mi guarda come se gli avessi appoggiato dello sterco di vacca sulla testa.
Lo show continua, molta gente sbuffa, non mi interessa. Nuova gomitata e nuovo spintone. Gli dico di nuovo di stare attento e che il suo non è certo il modo di stare in una scatoletta di sardine (così si presentano gli autobus a Roma alle 8.45 del mattino).
Il ventenne mi grida in faccia: “Vecchia froxxia di mexxa! Che caxxo vuoi? Omofoba repressa…”. A me!
Potrei pestarlo a sangue gridandogli che una delle persone che più ho amato al mondo è stato ammazzato a calci e pugni da una banda di omofobi, di quelli veri, ma non lo faccio. Decido invece di parlare con calma.
“Solo due parole ragazzina… Come puoi pretendere di ottenere rispetto dagli altri se non lo dai? Non mi interessa con chi vai a letto, qui dentro non interessa a nessuno. Sono la tua maleducazione ed arroganza ad essere insopportabili”.
Giro la domanda che avrei voluto fargli a voi: come si può pretendere tolleranza quando si è i primi a non praticarla?
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