Sabato è stata la giornata dell’Onda Pride, il Pride unitario, così lo hanno chiamato, quello con la piattaforma politica condivisa, con le parole che piacciono tanto ad alcune frange del movimento, quelle che pensano di poter incidere con quattro parole di poca sostanza che gridano inutilmente da vent’anni, sulle scelte politiche del paese quando si è visto (da vent’anni, appunto) che non sono in grado.
In cinque città diverse, nemmeno 200mila persone, (forse un totale di 800mila persone in tutti i Pride che si sono tenuti su e giù per Italia nel mese di giugno, ripeto, a costo di essere stucchevole, che a Madrid -nella Spagna che ha tutti i diritti- al Gay Pride del prossimo 6 luglio sono attese 1milione e mezzo di persone), e chiedo scusa a tutte le Signorine Arcigaie che mi malediranno per quello che scrivo, su Twitter od altri social network.
Questa volta tuttavia c’è una novità: che la classe politica è matura e sembra non essere più per bieco opportunismo che si dichiara disponibile (Zedda a Cagliari, Bianco a Catania) ad ospitare eventi nazionali, non è più per bieco opportunismo che partecipa alle manifestazione (Zedda a Cagliari, Pisapia a Milano, De Magistris a Napoli), specchio per una volta di un’opinione pubblica largamente favorevole ai diritti delle persone gay e lesbiche e delle loro famiglie.
Non si approprino di meriti che non hanno e non avranno le signorine associazioni con i loro parlamentini ed i discorsi ai loro ombelichi, molta della responsabilità nei ritardi dell’italico legiferare è anche loro: delle loro divisioni, delle loro posizioni incomprensibili, delle loro arroganti difese del territorio, della loro incapacità di sintetizzare in una piattaforma politica praticabile le farneticazioni di molti oscuri dirigenti locali, capaci non si sa come, di condizionare la visione globale dei dirigenti nazionali.
Tra le altre buone ragioni per cui mi auguro una rapida approvazione di leggi che diano pari diritti (e dignità) alle persone LGTB ce n’è una di grande egoismo: che quella legge serva alla sparizione di questa accozzaglia di incapaci che riempiono il loro ego una volta all’anno, con una parata locale che più che a rivendicare, serve a dividere.
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