Il 13 maggio 2013 segna l’ottavo anniversario dell’uccisione di centinaia di manifestanti, in gran parte pacifici, tra cui donne e bambini, da parte delle forze di sicurezza nella città uzbeka di Andijan. Sono anche trascorsi cinque anni da quando l’Unione europea (Eu) ha deciso di smettere di chiedere un’inchiesta internazionale indipendente su quelle violenze e di cancellare il divieto di concessione dei visti ai funzionari uzbeki nonostante la totale impunità di cui godono i responsabili di quegli omicidi di massa.
Amnesty International sollecita la comunità internazionale a riconsiderare il proprio impegno per un vero miglioramento della situazione dei diritti umani in Uzbekistan e a intraprendere tutti i passi necessari per costringere il regime a rendere conto del proprio fallimento nel rispettare pienamente i propri obblighi verso i diritti umani.
Le autorità uzbeke hanno continuato a insistere che quanto avvenuto ad Andijan e le sue conseguenze siano una questione strettamente interna e che nessun organismo internazionale o paese straniero ha il diritto di chiedere un’inchiesta internazionale su uccisioni di massa.
Il 24 aprile 2013, durante la recente valutazione pubblica della situazione dei diritti umani in Uzbekistan nell’ambito dell’Esame periodico universale (Epr) da parte delle Nazioni Unite, la delegazione uzbeka ha affermato categoricamente che “la questione [di un’inchiesta internazionale sui fatti di] Andijan per noi è chiusa!”. Durante l’Epr nessuno stato europeo ha menzionato gli eventi o ha chiesto l’apertura dell’inchiesta e soltanto il Cile e il Messico hanno fatto riferimento ad Andijan durante il dialogo interattivo nel Gruppo di lavoro.
Amnesty International chiede alle autorità uzbeke di consentire e di facilitare un’inchiesta internazionale completa, indipendente e imparziale sulle circostanze che portarono agli eventi di Andijan del 12-13 maggio 2005, conformemente agli obblighi dell’Uzbekistan secondo il Patto internazionale sui diritti civili e politici di cui è stato parte.
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