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Call centers, inferni con licenza di schiavitù?

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Call Centerdi Maximiliano Calvo

Qualche giorno fa chiedemmo ad operatori di call center che fossero anche eventualmente nostri lettori, o followers su Twitter, di scriverci descrivendoci la loro esperienza di lavoro che avremmo pubblicato in maniera anonima, per evitare ripercussioni.

Diverse sono state le segnalazioni, numerose le persone che ci hanno detto che ci avrebbero volentieri scritto, ma temendo di essere riconosciute non lo facevano, ma che confermavano i racconti che ci erano pervenuti.

Le testimonianze parlano di un ambiente lavorativo molto difficile, dove la vessazione psicologica travestita da disponibilità a lavorare quando la direzione lo decida e con una paga da fame, unita all’impossibilità di fare un altro lavoro, dato che i turni non sono mai programmati, rende il quotidiano difficile da gestire, e la frustrazione anche. Nessuna tutela, nemmeno sindacale. contratti a progetto.

“Ho iniziato a lavorare nei call center nel 2009 e devo dire che penso sia stata la cosa più aberrante che abbia mai fatto”, ci scrive Alberto, siciliano. “All’inizio la situazione è sempre apparsa almeno decente, ma col passare del tempo è sempre degenerata, perché le indagini di mercato e di customer satisfaction a lungo andare diventano nuseanti”.

Francesca, dalla provincia di Bologna, ci racconta “Avere un’ampia scelta di orari è gradevole, ma è anche un’ arma a doppio taglio perché, sia che si venga pagati a ore lavorate, o ad intervista realizzata, se non lavori non vieni pagato” (…) “Si lavora con contratti a progetto…”

La paga, bassissima, unita all’ambiente di lavoro stressante, è uno dei problemi dell’operatore dei call center, ci racconta ancora Alberto che “Sono pochi centesimi, 0.80 cent lordi a intervista con la trattenuta del 27%. Traducendo in soldoni mensilmente riesco a guadagnare circa 250/ 300 € netti. Il cud dell’anno scorso ammontava circa a 2000 €. Capite bene che con cifre del genere non si riesce a realizzare molto. Abito da solo ed è veramente difficile”. 

Siamo molto lontani dai giovani italiani senza voglia di lavorare di cui deliravano Monti e la Fornero, la situazione è davvero complicata.

Un’altra testimonianza viene da Federico, lombardo, 35 anni: “Lavoro in un call center che si occupa di sondaggi telefonici, non faccio assistenza clienti, non lavoro nei mega call center dei gestori di telefonia (anche se per due anni ci sono entrato, ma anche lì non sono messi meglio, tutti lavoratori interinali, 6/8 mesi di contratto e poi un calcio sui denti), la nostra è una categoria non tutelata da nessun sindacato”.

Continua Federico: “Da 13 anni non sopravvivo con questo lavoro. Mi arrangio perché non vivo da solo, e quando parlo di call center intendo questo: lavoro con contratti a progetto, paga di 0,80 cent a intervista realizzata con ritenuta del 27 per cento, si lavora solo a chiamata, cioè ti chiamano quando gli servi e quindi non tutti i giorni”.
Un’altra operatrice di call center, Maria, 50 anni: “Sono a casa da una settimana perché ho avuto l’ardire di dire no ad un lavoro di melma e sottopagatissimo che mi avevano proposto in quello stesso call center: risultato sono 7 gg che non mi chiamano per nessun altro lavoro. Questi tipo di lavoro non lo conosce nessuno, nessuno capisce che se dici no a una intervista telefonica, dici no a pochi cent per le tue tasche”.
Federico conclude, spiegandoci “Il mio Cud, appena ricevuto, è di 2061 euro quest’anno. Poco più di 200 euro al mese. La paghetta di un ragazzino. Perché non cerco un altro lavoro? Rispondo con una battuta: ho cercato di fare le pulizie in un centro commerciale, il mio titolo di studio non va bene. A cosa serve una tesi in Storia dell’Arte Contemporanea?”
Aspettiamo altre testimonianze dai nostri lettori o da loro amici. Nel frattempo cercheremo anche di saperne di più dai call center stessi o dai sindacati.

 

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