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di Giovanna Di Rosa
Rosy Bindi del dolce far niente in politica per quasi tre decenni ha annunciato che lascerà la politica “alla fine della legislatura” per tornare alle sue vecchie passioni, quali lo studio e la teologia (è noi che pensavamo fosse solo omofoba), ché bisogna pur vivere di qualcosa dopo aver vissuto di nulla per tre decenni. Se ne va annunciando di avere “lavorato in questo Palazzo per ventitré anni e, prima ancora, altri cinque a Strasburgo”: noi – che negli ultimi trent’anni c’eravamo – di tutto questo lavorare non ci siamo accorti.
Abbiamo visto una conservatrice feroce, che nascondeva le sue idee reazionarie sotto apparente ragionevolezza, battersi contro le Unioni Civili, contro ogni avanzamento dei diritti individuali in questo paese; l’abbiamo vista verde di rabbia sfoderare una maleducazione senza limiti scagliarsi contro chi la contestava legittimamente alla Festa de l’Unità di Modena (o era Reggio Emilia) qualche anno fa; l’abbiamo vista dire tutto ed il contrario di tutto e rispuntare sempre con qualche carica nuova, inaspettata, come quella della presidenza della Commissione Antimafia. L’abbiamo vista carica di livore anti-renziano dichiarare tutto ed il contrario di tutto contro l’ex-premier e segretario che, per sua stessa ammissione, “non mi è mai piaciuto”.
Rosy Bindi appartiene allo squallore della politica dei veti e degli inciuci alla Bersani e D’Alema dove per poter governare bisogna “piacere” e non avere delle idee di progresso per il Paese.
“Fare politica non è un mestiere, ed è impossibile servirla senza quel fuoco che arde. Finita questa legislatura lascerò il campo” è l’ultima dichiarazione della donna che ne ha avuta una per tutte le stagioni, a seconda della convenienza, e che ha scoperto dopo tre decenni che fare politica non è un mestiere. Non sappiamo se ha ragione o no: quel che è certo è che lei il “fare politica” non sa nemmeno dove stia di casa. Conosce l’occupare poltrone ed il rivestire cariche, spesso senza meriti né idee, ma la politica non è quello. E non c’è bisogno delle arzigogolature lessicali di Bindi per rendersene conto. Chiosa, la furiosa conservatrice teocrata: “La vita è più e meglio di ciò che facciamo”, una profonda verità che, nel suo caso, è ancora più vera. Quanto poi all’andarsene dalla politica della buona Bindi non ci sperate: il suo furore teocratico, il suo conservatorismo da monaca mancata si celebrerà nelle “cause” in cui crede perché vede “un gran bisogno di formazione alla politica” che detto da lei è quasi vangelo “e di ricostruzione delle reti associative”, tanto per continuare a fare pressione di qua e di là. Se sarà lei ad occuparsi della formazione politica possiamo sperare in una riedizione dell’incapacità a 5Stelle, ma benedetta da dio. Che non fa mai male.
Brava On.Bindi. Ci racconti pure che lascia la politica mentre lancia il suo endorsement ad Andrea Orlando che non si sa mai Lei debba cambiare idea, ma la prossima volta che lo racconti meglio e, magari, in un sussulto di amore per la società, la lasci sul serio. Se in silenzio è anche meglio.
(11 aprile 2017)
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