Così si presenta, nei titoli dell’inizio della pellicola, PIETA’, ultima fatica del regista coreano. In 104 minuti che volano via, ci propone una storia ancora una volta estrema nei suoi risvolti e nelle sue pieghe segrete, anche molto segrete.
Il protagonista è un giovane dall’aria crudele, crudeltà che non verrà smentita dal suo comportamento, che si occupa di ”recupero crediti” per un boss della malavita, che presta danaro ad usura a piccoli artigiani soffocati dai debiti e dagli affiti di proprietari che non vedono l’ora di cacciarli per poter vendere le aree che diverranno spazi edificabili per nuovi grattacieli. Se non hanno denaro verranno variamente storpiati o mutilati con simulati incidenti così da avere l’indennità assicurativa che coprirà il debito. Ingegnoso!
Solo che il destino, molto spesso, scompiglia le carte anche ai cattivi, e l’apparizione della madre (?) che lo aveva abbandonato, che compare dal nulla dopo trent’anni, mette a soqquadro una vita a modo suo, ordinata e precisa. Fra interni fatiscenti, esterni squallidi , povertà, disperazione e perdita di ogni speranza, sembra proprio che di pietà ce ne sia pochina.
Kim ki-duk elabora ed espone i suoi teoremi morali, non chiarissimi nell’assunto, quanto precisi nell’equilibrio dei risultati. La bellissima e molto espressiva Cho min-soo, più che di una mater dolorosa fa l’effetto di una vestale della morte… La cultura cristiana è evidente, anche nell’impressione di una via crucis, i cui martiri di volta in volta sono i poveri taglieggiati! I personaggi hanno molteplici sfaccettature, e non sappiamo quante di quelle facce rimangano in ombra. Il protagonista, molto espressivo, di questo film profondamente cupo, ben più cupo dei precedenti lavori del regista coreano, è Lee Jung-jin.