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Dopo la Battaglia, il nuovo spettacolo di Pippo Delbono

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Al Teatro Verdi di Padova, la prima assoluta di DOPO LA BATTAGLIA, il nuovo spettacolo di Pippo Delbono, coprodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro di Roma, Théàtre du Rond Point-

Paris, Théàtre de la Place, Liège, in scena fino all’8 maggio. Quali battaglie? E’ la domanda che mi sono posto vedendo questo nuovo, e ancora una volta intenso spettacolo del regista ligure… Casualmente sto rileggendo Tenera è la notte di Francis Scott Fitzgerald e, proprio lui, parlava di battaglia a proposito del rapporto dello psichiatra con la moglie schizofrenica: la stessa battaglia senza quartiere dello scrittore con il profondo disagio dell’amatissima moglie Zelda. Ma qui, qual’è la battaglia che Pippo ci suggerisce, quali le battaglie evocate, quali i disagi, quali i disastri, reali, fisici, pericolosi per l’incolumità? Quali interiori, segreti, laceranti, esistenziali? E queste cose sono mai, in realtà, veramente disgiunte?  Molti interrogativi nelle dense due ore di questo pezzo (chiamiamolo così in onore a Pina Bausch, omaggiata ed evocata con molto affetto in ricordo di una profonda amicizia). Lo spettacolo si inizia su una babele di voci, poi ci sono suoni definitivi di cancelli chiusi; sale la luce ed una scena di sontuoso interno borghese, quadro antico, due lampadari (magnifica proiezione come le altre che seguiranno…) signore e signori eleganti. Però, a guardar bene, sull’ambiente si aprono molte porte con spioncini come di celle, talvolta altissime; sinistre luci radenti illuminano le pareti. Il lavoro ha la consueta fitta episodica e l’alternanza di momenti cupi ed anche crudi, con altri più apparentemente rilassati, quando non apparentemente gioiosi in quello che secondo me, avendone visti molti, è forse, il suo lavoro più doloroso. Qui la presenza fisica del regista è un poco meno demiurgica del solito, ma sempre più ampia è quella della poesia. E’ un ulteriore capitolo di un discorso che si compone, ma è anche una commistione di teatro e cinema con immagini dello stesso autore. I temi s’incrociano, c’è quello del ricordo delle persone, quello della loro eredità emotiva. In sala il pubblico si domandava che tipo di teatro fosse… già, che teatro è quello di Pippo Delbono? Un teatro delle emozioni, un teatro dello spirito, dettato  da una profonda urgenza interiore… Molte storie vengono raccontate. Private: come quella che lega la madre al regista, ed anche Alexander Balanescu alla sua, di cui ci porta un ricordo struggente, commentato dal suo straordinario violino – ospite di lusso ed autore delle musiche originali. La battaglia degli affetti, dunque, e quella reale contro la prigione del carcere, del manicomio, delle nostre ossessioni: stanza chiusa a chiave dall’interno. Si pùo essere chiusi dentro, ma anche fuori. Esclusi, come Bobò – cui lo spettacolo è dedicato – che rimane davanti alla Legge, mentre Pippo legge l’illuminante racconto di Kafka. Bobò, che, invece, come sappiamo, è stato chiuso tutta una vita, fino a che la compagnia lo ha adottato e gli ha fatto scoprire il suo amore per la scena e le sue sorprendenti doti teatrali! Le proiezioni sulla grande parete di fondo sono come sogni, incubi incombenti. All’inizio una scena elegantissima vede ancora Bobò come severa maestra di danza mentre l’étoile dell’Opéra, Marie Agnès Gillot, accenna una sbarra, e pian piano diverrà una Odile dalle ali spezzate, mentre la bianca Odette (Marigia Maggipinto), altissima, lunare, verrà travolta (insieme con lei) da onde immani. Ci sono molti momenti memorabili come l’uomo in frac (Nelson Lariccia) che danza e saltelle instancabile, mentre la sua proiezione cinematografica si moltiplica, scompare, riappare. C’è una gran voglia di teatro, di opera, di danza classica e contemporanea, ma c’è tutto, ma anche tutto viene evocato e ribadito, il Verdi di Macbeth e di Nabucco, così come una storia che riguarda il Teatro Bellini di Catania; il teatrodanza tedesco, il varietà, con la solita raffinatissima eleganza stracciona. La magnifica scenografia è di Claude Santerre, le luci di Robert John Resteghini, i bei costumi, di Antonella Cannarozzi.

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