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L’Occhio di Alessandro Paesano: “Il caso Braibanti”, memoria storica contro l’Italia patriarcale, fascista e omofoba

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Caso Braibanti - Mauro Conte e Fabio Bussottidi Alessandro Paesano twitter@ale_paesano

Da solo in scena, Aldo Braibanti rivolgendosi alla platea commenta che il racconto di quanto gli è capitato, cui il pubblico sta per assistere, è per lui un pezzo della sua vita che se ne è andato per sempre. E che la memoria storica che il racconto delle sue vicissitudini costituisce, non trova radicamento nell’Italia in cui quei fatti sono accaduti.

Perché della sua storia nessuno ricorda più nulla.

L’incipit de Il caso Braibanti di Massimiliano Palmese, un oratorio per due voci narranti e sassofono, non potrebbe essere più emblematico.

Lo spettacolo denuncia, nel momento stesso in cui si fa strumento di rinnovo della memoria storica di uno dei casi più eclatanti, nell’Italia reazionaria e fascista pre sessantottina, di persecuzione politica di una una persona omosessuale, dell’incapacità dell’opinione pubblica di indignarsi per le gravissime violazioni dei diritti costituzionali di un cittadino per le quale lo Stato italiano non ha mai chiesto scusa né mai lo farà vieppiù ora che Braibanti è morto.

Massimiliano Palmese ha tratto dagli atti del processo, dalle lettere di Braibanti e dalle dichiarazioni degli e delle intellettuali che lo difesero durante il dibattimento, una partitura narrativa scandita da un andamento musicale dove le parole e i brani musicali, composti ed eseguiti dal vivo da Mauro Varrone, si intrecciano in uno scambio continuo, vero e propri dialogo tra i fatti detti, riportati ed evocati sulla scena e l’emozione da loro causata restituita dalla musica (un jazz colto e struggente).
La rabbia per il sopruso subito da Giovanni Sanfratello, il ragazzo maggiorenne che aveva intessuto una relazione sentimentale con Braibanti, sequestrato dalla famiglia e condotto in manicomio dove venne costretto ad un comportamento meno infamante [sic] a suon di coma insulinici, 19, ed elettroshock, 40.
L’indignazione per un processo politico contro l’omosessuale Aldo Braibanti, accusato di aver plagiato la mente fragile del giovane.
La disperazione per la loro bellissima storia d’amore recisa per sempre da uno Stato patriarcale, fascista e omofobo.

Il caso Braibanti è uno spettacolo di straordinaria bellezza, magnificamente interpretato da Mauro Conte e Fabio Bussotti i quali oltre a incarnare i due corni della fiamma amorosa restituiscono commenti e idee dell’accusa, degli avvocati, dei genitori di Giovanni con una ironia sottile che riproduce inflessioni dialettali ed espressioni del viso e del corpo che, nelle precedenti edizioni dello spettacolo, sono stae accolte con una ilarità del tutto fuori luogo.
Questa nuova messinscena trova nel teatro dei Conciatori uno spazio più raccolto e più congeniale all’intimismo col quale Palmese racconta dell’incostituzionale, incivile, feroce e patriarcale interferenza dello Stato nella vita privata di due cittadini maggiorenni.
Giovanni e Aldo durante lo spettacolo non si guardano mai e non si sfiorano che nel finale quando, una volta separati per sempre, Aldo recita i versi di una sua poesia per il giovane amato.
L’afflato dello sdegno civico che muove e sostiene il testo inchioda il pubblico alla responsabilità collettiva della memoria storica ribadendone la necessità.
Dobbiamo ricordare quanto fatto subire all’omosessuale Braibanti perché quel che gli è capitato accade ancora oggi, in forme nuove ma equipollenti, dalle menzogne del fondamentalismo cattolico, e non, che pretendono, al di fuori di qualunque verità scientifica, etica e morale, che l’omosessualità è un vizio dal quale, se si vuole, ci si può allontanare e che le persone omosessuali
in quanto tali non possono godere degli stessi diritti sposarsi, metter su famiglia, fare dei figli, come tutte tutte le altre persone.

Finché la cittadinanza italiana non si indignerà dinanzi una violazione così belluina e reazionaria dei fondamentali diritti umani Braibanti verrà processato ancora e ancora.

Una memoria storica per ricordare come il pensiero unico dello Stato e della chiesa italiane sono sempre lì a minacciarci quotidianamente, ieri come oggi, e che non è affatto vero che non c’è nulla che possiamo fare.
Possiamo Ricordare.

Parlare.

Agire.

E dire io amo come Aldo e Giovanni hanno fatto finché non è stato loro impedito.

Uno spettacolo da vedere, rivedere e sostenere con una presenza massiccia in sala.

Che non si dica che in Italia non si può far niente.

Spegnete questo pc dal quale ci leggete uscite di casa e andate a teatro.

Guardatevi, contatevi e ricordate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(15 gennaio 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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